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PER QUALCHE DOLLARO IN PIU' regia di Sergio Leone

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hghgg     9 / 10  14/08/2013 12:41:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il primo capolavoro di Sergio Leone ed il momento in cui la "trilogia del dollaro" comincia ad ingranare veramente, raggiungendo gli altissimi livelli di cinema che tutti conosciamo e portando un genere verso il suo apice. Si perché se "Per un pugno di dollari" altro non era che un remake (pur ottimo, forse il miglior remake di sempre) non autorizzato e non ufficiale de "La sfida del Samurai" di Kurosawa semplicemente riadattato in forma western, a partire da questo film Leone definisce definitivamente il suo stile in un film originale (per quanto potessero essere originali già nel 1965 le tematiche e le caratteristiche di un western) o che comunque non sia una rimasticazione di classe di un altro prodotto. Per l'appunto "Per qualche dollaro in più" è un grandissimo film, sorretto dalla regia impeccabile del Sergione con tutte le sue caratteristiche migliori, dai campi larghissimi ad inquadrare piccole figure in lontananza e vastissimi terreni incontaminati fino ai celeberrimi primi piani più stretti che mai, a racchiudere le due espressioni di Eastwood (col sigaro e senza) l'impagabile faccia da western di Lee Van Cleef e la sovrumana espressività del più grande attore italiano di tutti i tempi (ad onor del vero, con Marcello Mastroianni e la Magnani a pari merito); e poi tutte le varie finezze alla regia che raggiungeranno l'assoluta perfezione stilistica quasi vent'anni dopo non c'è bisogno che dica con quale film. E le musiche, carismatiche, coinvolgenti e onnipresenti di Ennio Morricone un vero e proprio tutt'uno con le immagini stesse, che non fanno altro che aggiungere epicità e qualità ad un film già di per se ottimo. Ovviamente è la sceneggiatura a non essere eccelsa, come in moltissimi film western (tranne forse quelli moderni, esempio è un capolavoro come "Dead Man" di Jarmusch, probabilmente l'ultimo respiro del West, in chiave metafisica e surreale, e scusate la divagazione) che difficilmente hanno bisogno di una sceneggiatura forte, basta avere qualche scambio di battuta memorabile (e qui ce ne sono eccome) e il gioco è fatto e riuscito. Soggetto semplicissimo ma centrato, con il tema della vendetta al centro di tutto e con buoni spunti "sentimentali" e psicologici; da questo punto di vista la caratterizzazione soprattutto dell'Indio è piuttosto buona, un essere perfido, capace di azioni terrificanti, uno scarafaggio che merita di essere schiacciato eppure anche un uomo tormentato, dal ricordo e dal rimorso, passa dall'apatia alla furia spietata e alla mentalità diabolica in un attimo. Ed è ovviamente lui, Gian Maria Volontè a donargli il volto con una grandissima interpretazione, forse la prima interpretazione straordinaria della sua carriera, prima di Petri, Rosi e Melville. Chiariamo era già stato ottimo sempre con Leone in "Per un pugno di dollari" ottima controparte italica di Tatsuya Nakadai, ma è con questa interpretazione che assistiamo alle doti sconfinate di Volontè, sempre maniacale e perfetto nell'immedesimarsi nel personaggio (qualunque esso sia, fossero anche personaggi agli antipodi) nel renderlo suo, grazie ad un'espressività pazzesca, e doti da trasformista (sia dal punto di vista fisico che mentale) fuori dal comune, senza contare la presenza scenica e il carisma pazzesco. Ribadisco, uno dei 10 attori più grandi di tutti i tempi per il sottoscritto e il più grande in Italia.
Riuscitissima anche la coppia Clint Eastwood e Lee Van Cleef, grandissimi volti del cinema ambientato ad Ovest, espressioni impagabili seppure certo non molto variabili. Ma il broncio di Eastwood e il ghigno di Van Cleef (quest'ultimo per me qui è alla sua migliore interpretazione, bravissimo davvero), le loro scaramucce (la scena dei cappelli è impagabile) e i loro favolosi scambi di battute rimangono impressi nella storia del cinema come nel granito. Ed è meravigliosa la sequenza finale, con il duello tra l'Indio e il colonnello Van Cleef, spalleggiato da un arbitro d'eccezione (che poi se ne sta li a guardare con il suo sigaro :D) e accompagnato dalle inquadrature di Leone e il tema di Morricone per farci assaggiare uno dei momenti per me più alti del genere, fino all'ultimo divertentissimo scambio di battute tra la coppia. C'è ironia quindi, di ottimo livello, come d'altronde ce n'è anche nell'altrettanto bello "Il buono, il brutto e il cattivo" dell'anno seguente, e c'è epicità in egual misura. Una nota ancora per le apparizioni di un attore all'epoca ancora non esploso ma che è decisamente impossibile non notare, quel Klaus Kinski che una volta incontrato, qualche anno dopo, il compagno di merende (e risse) Werner si affermerà, anche lui si, come uno dei più grandi attori (e psicopatici) di tutti i tempi.
In definitiva si, uno splendido film, come tutti i 4 di Leone che lo hanno succeduto e almeno due sono, senza dubbio alcuno, anche ben superiori. Una delle tante perle di uno dei migliori artisti italici che abbiano mai diretto qualcuno in un film (modo contorto per dire "registi").