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NO MAN'S LAND regia di Danis Tanovic

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kafka62     7 / 10  28/02/2018 09:24:17Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"La neutralità non esiste di fronte a un assassinio – dice a un certo punto del film un sergente dei caschi blu dell'O.N.U., ribellandosi apertamente all'ignavia e alla esasperante prudenza dei suoi superiori – Non fare niente è già di per sé una scelta". Senza volerlo, questa frase ci catapulta nel bel mezzo dell'attualità più cruda: la comunità internazionale è infatti sempre di fronte al lacerante dilemma se intervenire nei conflitti altrui (ma quali conflitti non sono veramente i nostri?), alimentando gli inevitabili sospetti di volersi ingerire in affari che non le competono e le ancor più inevitabili accuse di fare una politica guerrafondaia e imperialistica, o se invece lasciare che le cose si sistemino da sole (in fondo non sono affari nostri), lasciare che siano gli altri a togliere le castagne dal fuoco e fare invece gli spettatori o, nella migliore delle ipotesi, guadagnarsi titoli di merito per il Nobel per la pace come promotori della distensione e del dialogo. Ma la realtà non si lascia mai ridurre alla logica delle riflessioni etico-politiche, come la irreversibilità del conflitto tra Israele e Palestina dimostra ogni giorno di più, e, intelligentemente consapevole di ciò, il regista bosniaco Danis Tanovic preferisce al didascalismo di un cinema educativo e politically correct un approccio da teatro dell'assurdo.
In una trincea abbandonata, collocata in mezzo ai due fronti, egli mette di fronte due nemici, un serbo e un bosniaco, mentre vicino a loro un terzo soldato, ferito, è letteralmente sdraiato sopra una mina innescata e non può muoversi perché altrimenti provocherebbe una esplosione mortale. E' una situazione quasi surreale, che permette al regista di dar prova di uno spirito caustico e corrosivo, che non risparmia nessuno, dai capi militari delle due parti che non esitano a far fuoco sulla trincea non avendo la certezza che il soldato che si agita chiamando i soccorsi non sia un nemico, ai caschi blu che preferirebbero non impelagarsi in operazioni rischiose e vorrebbero limitarsi alle più tranquille scorte dei convogli umanitari, fino ai giornalisti e agli inviati delle televisioni internazionali, spinti da uno sciacallaggio dell'informazione che ricorda l'"Asso nella manica" di Billy Wilder. I due soldati, costretti a una coabitazione forzata, dapprima mettono in pratica la regola feroce secondo cui la ragione ce l'ha chi ha in mano il fucile ("Avete iniziato voi la guerra", dice uno dei due, "Non è vero, l'avete iniziata voi", risponde l'altro, "Bugiardo, siete voialtri ad averla iniziata", "Voi avete bruciato i nostri villaggi", e così via fino a che un fucile spianato risolve la questione), ma poi, man mano che passa il tempo, l'odio si stempera e si trasforma quasi in cameratismo. In fondo, sembra dire il regista (autore anche della ben congegnata sceneggiatura), è facile uccidere un uomo da distante, quando è solo una forma indistinta, poco più di un punto e qualcosa meno di una persona, molto più difficile è farlo quando lo si ha vicino tanto da poterlo guardare negli occhi, accorgersi che conosce la stessa ragazza che è stata nostra compagna di scuola, vedere che non è poi molto diverso da noi.
Il graduale riavvicinamento tra i due personaggi, la progressiva umanizzazione dei loro rapporti è però solo una falsa speranza. Tanovic è radicalmente pessimista e lascia che la situazione precipiti fino a non lasciare alcun superstite sul campo di battaglia. La logica della guerra e dell'odio tra fazioni contrapposte ha il sopravvento, l'impotenza dell'O.N.U. è totale, e solo un inganno (far credere che la bomba è stata disinnescata e il ferito portato in ospedale) è in grado di tacitare la pubblica opinione affamata di informazione-verità. L'immagine finale del film è fortemente metaforica: il soldato che, quando tutti se ne sono ormai andati, rimane da solo nella trincea, condannato a morte certa, è infatti il simbolo di un paese che, quando tutti pensano che il peggio è passato (magari solo perché nel mondo ci sono altre emergenze o perché i mezzi di comunicazione hanno allontanato da esso i loro riflettori o perché non se ne parla più, che poi è la stessa cosa), rimane a dispetto di tutto una bomba pronta ad esplodere.