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IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL regia di Hayao Miyazaki

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Invia una mail all'autore del commento jane eyre     8 / 10  20/10/2005 13:06:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Per quanto riguarda lo stile del disegno e dell’animazione, il castello errante di Howl segue la linea tracciata precedentemente dalla città incantata, nell’ “affastellamento” un po’ barocco di colori ed oggetti che sembrano moltiplicarsi e proliferare su loro stessi, quasi a rappresentare la caleidoscopica multiformità di un reale non riconducibile ad una visione organica e unitaria del mondo. Se film come Totoro o Kiki sono contraddistinti da una certa essenzialità e stilizzazione del tratto, qui assistiamo invece al proliferare (quasi gaddiano!!) di colori, folle umane, oggetti, situazioni, personaggi…forse è il messaggio stesso dell’autore che sembra farsi più complesso e articolato, e sta allo spettatore il compito di “decifrare” qualcosa che non è sempre così chiaro, o perché per noi occcidentali risulta ostico penetrare nella simbolicità della cultura nipponica o forse solo perché molti passaggi, in quest’ultimo film di Miyazaki, risultano alquanto impliciti e poco spiegati.
Non so quanto sia stato elaborato o desunto dalla fiaba (che non ho letto) della scrittrice anglosassone, comunque per molti aspetti viene conservato (apparentemente) lo stilema della fiaba classica: l’amore trionfante alla fin fine, la fanciulla costretta a intraprendere un duro percorso per riacquistare, solo apparentemente, un precedente status (la giovinezza), andato perduto a causa di un incantesimo maligno, ma che invece porterà all’acquisizione di qualcosa di veramente nuovo: un grado maggiore di consapevolezza di se stessa e delle propria intima forza interiore, attraverso un percorso che si rivelerà per certi versi iniziatico, per giungere a quella metamorfosi che la porterà a scoprirsi BELLA (con tutto ciò che comporta questa “vaga” definizione!) oltre il suo essere di sempre, ovvero una timida cappellaia insignificante.
È la scoperta di sé che avviene per Sophie, e l’apparente ritorno alla sua giovinezza non è semplice ritorno a ciò che è stato prima. La Gioventù non è solo una condizione biologica o anagrafica. La giovinezza che riottiene indietro la protagonista diviene conquista interiore di una giovinezza-freschezza che coincide con la capacità di incidere sul reale attraverso l’amore e la dedizione per il prossimo. Per Sophie la giovinezza diventa un diritto che si conquista dentro, è quella forza sempre viva, quel fuoco che ci rende attenti alla realtà circostante, alle creature (seppur solo poveri spaventapasseri) che di volta in volta il caso fa noi incontrare. La vecchaia è il torpore interiore, la cecità delle guerre, mentre al contrario la vera giovinezza è lo sguardo sempre nuovo e mobile sul mondo.
Sarà proprio la dedizione della semplice Sophie a trasformare il mago Howl, un narciso infatuato di se stesso che ha donato il suo cuore ad un demone pur di essere totalmente libero; libero di una libertà che non riconosce a se stessa dei limiti necessari affinchè questa possa convivere con quella altrui. Il castello, continuamente errante, è l’immagine simbolo di questa stessa “intima erranza” del mago che, fedele alla sua libertà senza condizioni e compromessi, non accetta di avere sempre lo stesso nome, di abitare in una fissa e stabile dimora e che nel perenne movimento trova lo specchio fedele di se stesso.
Ma la libertà così intesa finisce col rendere Howl simile a quegli stessi egoisti che, proprio perché non riconoscono anch’essi limiti alla loro volontà di potenza, finiscono per portare ovunque guerra, morte e distruzione. La matrice di questa lacerazione e divisione tra gli uomini sembra essere la stessa molla che spinge Howl a non accettare limiti di sorta, scambiando l’idea di libertà con quella di arbitrio assoluto e generando da questo, egoismo e conflitti, nell’incapacità di limitare se stessi nel momento in cui il desiderio, dettato dalla libera scelta del singolo, si viene a scontrare con quello altrui.
È Soltanto con la scoperta dell’Altro-da-sé che Howl potrà comprendere che non serve a nulla vivere solo per se stessi o per dimostrare al proprio “ego vanesio” la propria immensa potenza di mago. Solo quando la propria libertà nascerà dal giusto compromesso con quella altrui e solo quando la propria potenza (o ricchezza!) si trasformerà in dedizione all’altro, la guerra potrà finalmente scomparire. La scoperta dell’amore per Sophie non è quindi semplice coronamento “d’amore a due”, soddisfacimento di una propria individuale felicità (come spesso viene inteso qui in occidente e nelle nostre favole). Qui l’amore è inteso come coscienza dell’altro, dedizione, cura, capacità di limitare se stessi nel momento in cui questo limite significa rispetto di ciò che è Altro-da-noi. Per amare Sophie, appunto, il giovane mago dovrà rompere il suo patto col demone del fuoco e rinunciare alla sua illimitata libertà.
Rapa può diventare nuovamente uomo non per opera di un semplice bacio, ma grazie alla cura e al rispetto che “una fanciulla insignificante” ha sempre tributato lui.
Solo cambiando se stessi, forse, sembra alludere Miyazaki, potrà cambiare qualcosa anche nel destino del mondo…così elmeno canta la canzone finale…

Jane Eyre

Ps: gli sgargianti colori delle parate di guerra sembrano alludere al gioco, all’infantilismo di una società immatura ancora chiusa in un narcisismo autoreferenziale, tipico della fase infantile. Anche Howl, seppur giovane uomo, chiuso nel suo egotismo, dorme in una stanza piena di giocattoli ed orsetti…