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KILLERS OF THE FLOWER MOON regia di Martin Scorsese

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Thorondir     7 / 10  26/10/2023 15:13:00 » Rispondi
Ci sarebbero tante cose da dire ma mi limito ad alcune: con questo film Scorsese prosegue sulla sua lunghissima e personale poetica del racconto delle contraddizioni criminali degli Stati Uniti. In questo caso l'occhio è puntato su un momento di svolta (nascita dell'Fbi, Usa ormai superpotenza economica, scoperta del petrolio nelle plains) e su una realtà "interstiziale" del mondo Usa, quella dei nativi. L'affresco è quello di una realtà in cui anche quando dovrebbe mancare la tara del razzismo economico (sono selvaggi perchè non conoscono ricchezza, ecc.) si inserisce quella prepotentemente suprematista di un mondo non a caso bianco e maschile che vuole prendersi tutto (persino le vite altrui). Da questo punto di vista il racconto scorsesiano è distaccato, quasi documentaristico, ben esemplificato dalla scena in cui uno degli accusati dice senza problemi di esser pronto a far fuori i figli se ciò significa ottenere l'eredità. Come ha detto Menarini, è un film sulla banalità del male. Tutto questo e la messa in scena classica e posata lo rendono interessante e per certi versi lontano dai film recenti di Scorsese, tutti ritmati in modo diverso (e forse per questo più vicino ad un titolo come "Silence"). Certo, qualcuno potrebbe dire che si guardano da un punto di vista diverso le solite tematiche di Scorsese, che quindi siamo sempre nella sua comfort zone. In realtà però quello che secondo me funziona meno del film è la sua costruzione narrativa: le prime due ore, soprattutto dopo la prima mezz'ora, sono di un ingolfamento continuo di dinamiche narrative tutte identiche a se stesse, con uno screentime eccessivo per situazioni che non ne necessitavano e per di più tutto piattamente mostrative nei confronti dello spettatore. Lo spettatore sa e vede tutto ma i personaggi sono imbelli, o perchè ingenui e un po' stupidi o perché descritti come degli automi in grado di non ben comprendere cosa sta succedendo. La credibilità filmica per un film che fa del realismo uno dei suoi punti cardine va un po' a farsi benedire. Ne risulta un grande romanzo-film-fiume in cui il taglio documentaristico finisce per eliminare qualsiasi momento di pathos e di costruzione emotiva dei personaggi, tutti identici a loro stessi se non nell'ultima mezz'ora, quando gli eventi faranno maturare (ma solo secondariamente) dei differenti tratti psicologici. Mi sembra il film di Scorsese dell'ultimo periodo in cui la voglia di dire tanto, forse troppo, finisce per inficiare in modo determinante il risultato complessivo.