Recensione via da las vegas regia di Mike Figgis USA 1995
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Recensione via da las vegas (1995)

Voto Visitatori:   7,55 / 10 (76 voti)7,55Grafico
Miglior attore protagonista (Nicolas Cage)
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior attore protagonista (Nicolas Cage)
Miglior attore in un film drammatico (Nicolas Cage)
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior attore in un film drammatico (Nicolas Cage)
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locandina del film VIA DA LAS VEGAS

Immagine tratta dal film VIA DA LAS VEGAS

Immagine tratta dal film VIA DA LAS VEGAS

Immagine tratta dal film VIA DA LAS VEGAS

Immagine tratta dal film VIA DA LAS VEGAS

Immagine tratta dal film VIA DA LAS VEGAS
 

M. Figgis, regista prolifico (già autore tra gli altri del buon "Affari sporchi"), qui anche sceneggiatore e autore delle musiche, realizza con questo film la sua opera migliore con uno stile visivo intenso e una storia struggente.
Il film è tratto dal romanzo dell'inglese John O'Brien che, come il personaggio del suo libro, da qualche tempo faceva abuso di alcol e si uccise a trentaquattro anni (lasciando due romanzi più uno incompiuto), appena due settimane dopo aver ceduto i diritti cinematografici del romanzo.
La storia, che potrebbe essere definita quindi quasi autobiografica, parla di Ben, sceneggiatore per un importante network, che dopo essere stato licenziato e aver ricevuto una sostanziosa buona uscita, decide di recarsi a Las Vegas, una città continuamente illuminata da neon le cui strade e i cui casinò brulicano di gente, per distruggersi con l'alcol.
Quali drammi bruciano nel turbato animo di Ben non è rivelato. S'intuisce una separazione dolorosa, ma neanche lui ormai sa più se ha iniziato a bere perché la moglie è andata via o se è andata via perché lui beveva.

Un film raro, perché definibile non-trama: il personaggio principale prende la sua decisione critica all'inizio del film essendo la stessa anche l'evento dinamico. Si configura così un film con un personaggio totalmente passivo. La difficoltà nello scrivere una sceneggiatura con un personaggio simile è enorme perché il rischio che si corre (e nel quale molti autori europei incorrono) è quello di annoiare tremendamente lo spettatore. Figgis trova invece le giuste progressioni senza appesantire la storia con boriose spiegazioni o con una tediosa voce fuoricampo. Il film è pervaso da una disperazione quasi palpabile e la mostra senza esorcizzarla.
Figgis gioca continuamente con i nostri sentimenti, illudendoci che il gioco allo sfascio finisca per grazia dell'angelo incontrato da Ben (la prostituta che s'innamora di lui).
La sottotrama di E. Shue fa da contrappunto al buio della trama principale. Lei si nutre del dolore dell'uomo, lo circonda d'affetto perché ha un disperato bisogno di amare qualcuno che al tempo stesso abbia bisogno di lei. La luce donata da questa sottotrama è destinata inevitabilmente a soccombere, e noi lo sappiamo.

Le magnifiche interpretazioni di Nicolas Cage (giustamente premiato con l'Oscar, ma purtroppo mai più a questi livelli) ed Elisabeth Shue, che avrebbe meritato l'Oscar, contribuiscono a dare l'atmosfera lugubre e senza speranza.
Molte delle critiche al film sono state poste proprio sulla regia di Figgis. Concordo che la bella musica, struggente jazz dall'aria carica di nostalgia, diventi, dopo un poco, troppo presente e invadente, ma devo dissentire da quanto I. Bignardi scrive a proposito della fotografia: «La storia esce sopraffatta dal bellissimo impasto della fotografia, [...] insomma, una confezione di alta classe per un aneddoto che risulta troppo fragile». Diversi critici si sono arroccati su questa posizione sulla quale porgo le mie riserve. La splendida fotografia di Declan Quinn (il film è stato girato in 16 millimetri e poi gonfiato a 35 con eccellenti risultati) impasta sullo sfondo i colori e spesso sgrana le immagini con un risultato meraviglioso. La scelta stilistica di staccare i personaggi dallo sfondo luccicante per portarli in una realtà "altra", personale, fuori da quel mondo, è riuscita. Il mondo sfavillante di Las Vegas è assorbito, dimenticato, sfuocato dal dramma che si svolge davanti ai neon che dovrebbero invece attirare con stupore e inserire in un clima di orgia ludica. Dei dubbi potrebbero scaturire se paragonassimo questo stile con la fotografia de "Il cattivo tenente" di A. Ferrara in cui invece la sciattezza delle immagini ricorda alcuni tratti dei disegni di Loyd e ci conduce per mano nel viaggio all'inferno del protagonista; eppure resta lo stesso sbagliato parlare di fotografia decorativa o distraente. Lo stile intrapreso ha un suo significato e in ogni caso non intacca la grande forza narrativa che graffia nel profondo, lasciando in bocca un sapore amaro, come la morte, o meglio, come la vita perché come disse A. Strindberg "l'inferno è qui con noi, sulla terra".

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Recensione a cura di fidelio.78 - aggiornata al 14/06/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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