Recensione se mi lasci ti cancello regia di Michel Gondry USA 2004
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Recensione se mi lasci ti cancello (2004)

Voto Visitatori:   7,60 / 10 (415 voti)7,60Grafico
Voto Recensore:   9,00 / 10  9,00
Migliore sceneggiatura originale
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Migliore sceneggiatura originale
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locandina del film SE MI LASCI TI CANCELLO

Immagine tratta dal film SE MI LASCI TI CANCELLO

Immagine tratta dal film SE MI LASCI TI CANCELLO

Immagine tratta dal film SE MI LASCI TI CANCELLO

Immagine tratta dal film SE MI LASCI TI CANCELLO

Immagine tratta dal film SE MI LASCI TI CANCELLO
 

«Com'è felice il destino dell'incolpevole vestale!
Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata.
Infinita letizia della mente candida!
Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio.
»

Il filosofo francese Michel de Montaigne scriveva che l'essere smemorati non è affatto un valore. O meglio, non lo è per chi ha a che fare con chi ne è esempio vivente. Chi dimentica, chi è senza memoria non può vivere con gli altri, da questi anzi viene disprezzato. E la ragione è semplice, basta prendere qualche esempio della vita quotidiana: un caffè con un amico, un appuntamento importante di lavoro, il cinema con una ragazza di cui si è visibilmente interessati, andare a prendere i figli a scuola. Chi non rispetta questi impegni per banale smemoratezza non ha un posto nel mondo, non ha un posto in mezzo agli altri. Ma di chi è colpa? Dello smemorato? Perché siamo letteralmente frustrati dalla debolezza mentale di chi è già abbastanza vessato dal suo male facendogliene una colpa, mortificandolo? E perché allora Alexander Pope nel 1717 scrisse quelle bellissime, quanto controverse parole nella poesia "Eloise to Abelard"?

Un lettore intelligente avrà capito certamente in anticipo che la differenza che intercorre fra le due visioni del problema, quella di Pope e quella di Montaigne, sta nella durata. Chi possegga un minimo di lessico storico-filosofico sa che per Henri Bergson durèe altro non è che la vita stessa. La vita è per Montaigne il tranche quotidiano, per Pope il ricordo di essa intera.
È vita il ricordo?
L'episodio senz'altro più interessante del IX libro dell'"Odissea" omerica è quello dei Lotofagi (91-99).

"Andarono e furono in mezzo ai Lotofagi.
Tramato alcun male non fu dai Lotofagi contro
i compagni, che anzi offrirono a loro del loto per cibo. Ma chi
assaggiava di loro
il dolce frutto del loto perdeva la voglia di recarci notizie e di
tornarsene in patria;
e là tra i Lotofagi amava restare per sempre
a cogliere il loto, oblioso ormai del ritorno.
Io condussi costoro per forza, piangenti, alle navi
E li misi sul fondo legati al di sotto dei banchi.

Sorpresi da tale umanità leggiamo i versi omerici. La domanda che mi è sorta spontanea è: chi è uomo, Odisseo o i suoi compagni? Chi è migliore?

Nel suo piccolo, anche Michel Gondry, regista francese di chiara fama, ha cercato di dare una risposta. Il risultato è di infinita bellezza.

"Se mi lasci ti cancello", è l'impoetico quanto prosaico, tuttavia sicuramente pertinente, titolo italiano di questo film, uscito nel 2004 dalla penna del noto e controverso sceneggiatore Charlie Kaufman ("Essere John Malkovich", "Confessioni di una mente pericolosa"), vincitore peraltro del prestigioso Oscar alla sceneggiatura originale proprio per tale script. Questa pellicola appartiene alla famiglia di quelle che riescono a mantenere una veste commerciale, nonostante presentino un'architettura tecnica e contenutistica da film d'autore.

Si è quasi unilateralmente mossa una critica feroce alla scelta italiota del titolo, e se ne comprendono le motivazioni: oltre a compromettere pesantemente la poeticità del titolo originale, esso fu scelto per ampliarne il raggio di ricezione del pubblico italiano. Fu scelto allora un titolo facilone e bamboleggiante, che richiamasse in pieno le peggiori commedie all'italiana dell'ultimo decennio, che sono le uniche in grado di attirare una larga fetta di spettatori al botteghino. Quella della distribuzione italiana è dunque in tutto e per tutto una scelta anti-artistica ed economica. Personalmente però non si considera d'altro canto un merito riutilizzare spezzoni di liriche per titolare le proprie produzioni, perlomeno non è indice di grande originalità;. È da sottolineare d'altronde che Gondry non è noto per l'accuratezza con cui sceglie di chiamare i suoi film: "The science of sleep" (tradotto ben più opportunamente "L'arte del sogno", invece che La scienza del sonno proprio dalla distribuzione italiana) è infatti l'infelice titolo inspiegabilmente attribuito a una sua pellicola del 2005.

Joel Barish, impiegato sui trenta, atarassico e distaccato, e Clementine Kruczynski, vivace e instabile ragazza dai capelli blu, si innamorano e hanno una bella quanto complessa storia d'amore. Quando la loro storia finisce, il dolore e la frustrazione conducono Clementine alla scelta di cancellare Joel dalla sua memoria. A tal fine si rivolge a una società/clinica dove uno staff di medici e tecnici, con la collaborazione del paziente, dispone la cancellazione. Venuto a sapere dell'atto della sua ex-fidanzata, Joel decide per ripicca di fare lo stesso. Durante la rasura però il suo Io-interiore si oppone, cercando di sfuggire all'azione dei cancellatori. Il Joel mentale, insieme alla Clementine mentale cercano di scappare, ma invano. La cancellazione ha successo.
Svegliatosi senza il ricordo della sua storia finita, Joel decide però di saltare il lavoro e recarsi a Montauk, luogo dove aveva incontrato Clementine la prima volta. Lì la ritrova e i due si innamorano una seconda volta.Parallelamente però si svolge la vicenda dei cancellatori: Mary (la segretaria), durante la cancellazione dei ricordi di Joel, bacia il dott. Mierzwiak. Essendo venuta a sapere di essersi già sottoposta a una cancellazione dello stesso dottore, per via della relazione clandestina instauratasi, Mary decide, sconvolta, di licenziarsi e mettere al corrente tutti i pazienti della clinica della loro cancellazione (cosa di cui ovviamente non hanno memoria). Clementine allora riceve la documentazione, con tanto di audio registrazioni poco lusinghiere nei confronti di Joel, proprio mentre è in macchina con il suo "nuovo" amore. Tuttavia nonostante lo sconvolgimento iniziale dei due protagonisti, decideranno comunque di continuare la storia. Ne lfrattempo uno dei cancellatori, Patrick, cerca di conquistare Clementine sfruttando i ricordi di Joel.

"Eternal sunshine" è impreziosito, sia commercialmente che artisticamente parlando, dalla superba prova di un cast d'eccezione: i due protagonisti, Jim Carrey, perfettamente a suo agio nel ruolo di un atarassico quanto inconcludente cittadino medio, e Kate Winslet, sicuramente la migliore attrice vivente, splendono di luce propria grazie anche alle autorevoli ombre di sfondo: l'interessante Mark Ruffalo, l'istrionico e indispensabile Elijah Wood, l'isterica e insicura Kirsten Dunst e il compassato Tom Wilkinson.

Quello di "Eternal sunshine" è un dramatis personae in cui ognuno riveste un ruolo di fondamentale importanza, in cui le ombre sono quasi importanti come le luci.

Seguirà un'analisi del film in cui si accennerà ad elementi e dettagli della trama, che si è deciso di omettere nella sinossi per ragioni di sintesi. Si consiglia pertanto una visione del film prima della lettura.

Il film è sicuramente l'opera più riuscita del regista francese, e in essa sono racchiuse tutte le tematiche a lui care. Nei film di Gondry si ritrova sempre un'opposizione fra la potenza creatrice e creativa dell'individuo protagonista (si pensi al personaggio di Bernàl in "The science of sleep") e la cruda realtà della società post-moderna. Una società a stampo taylorista, che trova nel modello americano la sua più lampante esemplificazione.
La denuncia di Gondry è tutt'altro che scontata, se si pensa alla medesima critica mossa da autorevoli intellettuali come Noam Chomsky e Michel Foucault. In Gondry, come in questi pensatori, le strutture sociali soffocano l'individuo-creatore che viene relegato a essere lobotomizzato e costretto al silenzio della sua potenza di ispirazione.

"Pensieri sparsi per il giorno di San Valentino 2004: oggi è una festa inventata dai fabbricanti di cartoline di auguri per far sentire di merda le persone"
"Parlare in continuazione non significa comunicare; (...) le persone devono poter condividere le cose, è tutta qui l'intimità; voglio leggere quel diario su cui scarabocchi in continuazione... che scrivi se non hai nessun pensiero, nessuna passione, amore?"

Questi stralci riflettono perfettamente la scontro ideologico che preme al regista: la critica romantica mossa all'ente sociale sta nel fatto che esso decide anche dei sentimenti, dell'interiorità del singolo. Finchè la costrizione, il controllo si limita agli aspetti economico-sociali dell'esistenza quotidiana e cittadina non pare essere un problema: forme di controllo come il supermercato, il negozio di dischi, l'ospedale e la scuola sono accettati dall'individuo medio. Tuttavia l'interiorità è uno spazio privato in cui esso si sente minacciato per la prima volta: la società, non paga di controllare ciò che mangi, come ti curi, come ti vesti e cosa impari, vuole la tua anima.

Montaigne, esempio di filosofo che aderì dapprima a un ideale comunitario, lavorando per il comune del suo paese, decise poi di ritirarsi a vita privata, nel conforto della sua biblioteca, per dedicarsi solo a se stesso. Ognuno deve avere un retrobottega della propria anima, scrive nei suoi "Essais". Montaigne studiò e visse il senso di inadeguatezza nei confronti dell'Altro, fosse esso la sua governante, la sua città, la sua nazione, lo stesso mondo, perché era un'anima romantica, uno di quelli che anche allora venivano definiti "eccentrici", ma anche perché ne voleva ricercare le cause profonde.
Il personaggio gondryano si sente continuamente inadeguato nei confronti della realtà che subisce, quindi riversa tutta la sua frustrazione in un taccuino, in cui dominano i pensieri sparsi e i disegni di una vita distorta, quasi schizzi di Munch. Non tutti possiamo essere Montaigne però, l'alternativa è la mediocrità più annichilente oppure la condivisione bellissima del nostro io con un'altra persona. Ma che succede se anche questa esperienza fallisce? Se non siamo capaci nemmeno di amare, se la società ci ha tolto anche questo, e ha ridotto la festa di chi si ama in una riproduzione infinita di avvilenti cartoline d'auguri?

L'esperienza amorosa di Joel e Clementine è gigantesca perché paragonata alla vuota vita che facevano prima. Non è sbagliata la critica mossa da lei a lui: è vero che Joel non ha nulla da dire né a se stesso, né al mondo, tuttavia non può che fare così per conservare un minimo di umanità. Infatti il motivo per cui cerca disperatamente di evitare la scomparsa completa di Clementine è perché sente che quanto di più bello, autentico e profondo era stato nella sua vita stava per sempre scivolando via. Joel è l'America, Clementine l'Europa. Non è un caso che abbia un cognome di ramo slavo. Clementine è disadattata in maniera "esterna", è entrata in questo mondo e a fatica si adatta. I capelli tinti di colori improbabili, l'euforia, l'originalità sono i suoi tratti distintivi. Essi mancano totalmente in Joel, che chiaramente si innamora del diverso. Ma Joel è il perfetto cittadino americano medio (a serious man). Per questo i due si amano, ma segretamente si odiano.

Il tratto più interessante del film è che nei ricordi in fase di rimozione di Joel, si assiste principalmente a litigate devastanti: l'incomprensione è l'aspetto precipuo della relazione fra i due. Clementine è nemica di Joel, tuttavia nessuno può fare a meno dell'altro perché i due devono sconfiggere un nemico più grande, la società. Non è una storia sentimentale, non è un film americano come può esserlo "When Harry met Sally" o "As good as it gets". Questo è un film interamente europeo, tuttavia giocato in area americana e con attori americani. Si pensi anche al cognome di Howard, anch'esso slavo, o a quello di Mary, un omaggio allo scrittore triestino Italo Svevo, un autore peraltro molto sensibile alle potenzialità che la psicanalisi poteva offrire all'arte: la psicanalisi serve più agli scrittori che alle persone, e questa frase si può applicare perfettamente al film. Infatti l'atteggiamento con cui il regista descrive l'apparato pseudoscientifico della società che gestisce le cancellazioni e la loro stessa procedura è analoga all'ironia divertita, ma estremamente cinica, con cui Svevo descrive i suoi medici: il dottor. Koprosich (kòpros in greco significa "merda") è quello che propone di apportare le mignatte al padre di Zeno, il dottor S. è una raffinata parodia letteraria di Sigmund Freud, come si evince nel prologo della Coscienza, nient'altro che la rappresentazione complessa e interiorizzata dei ricordi di Zeno Cosini.

Non serve sottolineare quante analogie sono sottese alle poetiche dei due autori. Ma la società è solo apparentemente nemica. Noi la giudichiamo tale perché assistiamo alla vicenda di Joel e Clementine dal critico punto di vista di Gondry. E se questo metodo di cancellazione fosse giovevole? Dopotutto non è ciò che agognava Alexander Pope, non erano forse felici i Lotofagi? Perché è sbagliato dimenticare tutto, e così necessario ricordare?

Il regista è saggio nel portarci sui suoi binari, ed effettivamente il suo punto di vista è estremamente condivisibile. La tesi è che non bisogna dimenticare. Gli espedienti con cui esplicitarla sono dei più comuni: da una parte il pentimento amaro di Joel, dall'altro il personaggio e la storia di Mary Svevo; ma si può estendere a tutti i protagonisti della vicenda parallela. Partendo da questa si osserva come dietro alla professionalità e all'allegra spensieratezza con cui essi sono presentati si celi la più deludente irresponsabilità e fragilità: Howard ha tradito la moglie e poi si è sbarazzato dell'amante con la tecnica della cancellazione, Patrick è un'offesa vivente agli inetti, Stan è un inetto, anche se forse rimane l'unico personaggio che si salva, che comprende quanta sofferenza possa celarsi dietro alla volontà di cancellare una persona dalla propria vita e di conseguenza quanto alla leggera abbia preso il suo delicato mestiere (a dir poco umiliante è il suo festino con Mary, mentre il "pilota automatico" compie la sua crudele missione). Indescrivibile lo sguardo che il bravissimo Ruffalo riesce a scolpirsi in volto al termine della vicenda.

Mary è il personaggio più complesso, soprattutto da giudicare. Mary è debole, anche se presentata come vincitrice: può permettersi di mortificare il suo collega, di entrare in casa d'altri e fare come se fosse la sua, di tranquillizzare i pazienti con aria navigata, di dare del "tu" al suo datore di lavoro, ma soprattutto è inquietante nel suo credere alla suprema utilità di ciò che Howard fa al fine del benessere e delle felicità della gente. Una missione, una vocazione. Non è un caso che venga da lei citato un filosofo engagè come Nietzsche, la cui missione "umanitaria" (ma sulla condivisibilità della quale si possono sollevare molti dubbi) è alla base del suo pensiero.
Beati gli smemorati perché avranno la meglio anche sui loro errori. Interessante è il fatto che Mary tenga un booklet: un quadernetto di citazioni. Non è il primo oggetto di questo tipo che si incontra nel film, c'è quello di Joel (anche se di pensieri, non di epitome): un altro surrogato per la conoscenza di sé, pillole di verità. Le citazioni, gli aforismi sono alla base dell'approssimativa visione del mondo di un essere limitato come Mary, limitato da una società che le offre come palliativo addirittura la possibilità di dimenticare i propri sbagli. In realtà in bocca a lei Nietzsche suona ridicolo: Nietzsche sì riprendeva e auspicava al motivo greco del "meglio sarebbe stato non essere mai nati", il suo sguardo invidioso andava a chi sapeva vivere una vita soddisfacente senza dover salire il monte della Grandezza, ma è proprio uno dei pochi filosofi che ha sempre avuto una nobile considerazione della sofferenza umana.
Per Nietzsche ognuno di noi deve cercare sempre la via più dolorosa e difficile nel conseguire un obiettivo. Di certo non avrebbe approvato il barbaro uso della cancellazione. Mary è dunque un personaggio mediocre, e proprio dalla sua mediocrità unitamente alla portata sconvolgente di quello che viene a sapere sul suo passato, nasce la discutibile scelta di informare tutti i pazienti della clinica. Non si capisce se sia ripicca, frustrazione, umanitarismo, o semplicemente perdita di controllo, tuttavia Mary è doppiamente colpevole poiché non solo traumatizza quelle persone (l'effetto è reso fin troppo bene nella scena della macchina con Joel e Clementine), ma è anche consapevole di quello che proveranno. Probabilmente avrà pensato che per lei è stato meglio sapere, ma non le passa minimamente per l'anticamera che altri potrebbero non essere del medesimo avviso. Si comporta come chi, sconvolto da un trauma destabilizzante, ha voglia e bisogno di fare un gesto eclatante e non si preoccupa minimamente degli effetti devastanti che questo può produrre, poiché quel gesto in realtà serve solo a lei. Mary è un umano prodotto della società, un risultato imbarazzante e pietoso, in quest'ottica quasi incolpevole.

La macchina sociale che aborrisce la sofferenza è andata in tilt perché, come diceva Dostoevskij, all'uomo "piace soffrire", e Mary ne è l'esempio vivente. Lei loda gli smemorati fino a che non si accorge di esserlo lei stessa, e la consapevolezza diventa resipiscenza. Mary, pur essendo un essere sociale, sceglie l'asocialità. Quella di Joel per intenderci. È curioso come nel film asocialità sia strettamente legata a tristezza, mentre gioioso e lieto è l'ambiente in cui si muovono e che formano i dipendenti della clinica. Persino Patrick non sembra troppo preoccupato dell'odio tributatogli da Mary, un problema, quello del mobbing, che normalmente causa molta ansia e depressione nella gente. L'essere asociale si deprime, beve (Clementine corregge il caffè con un superalcolico), al vicino che ha sfondato la carrozzeria della propria macchina risponde con un risibile "thank you"; l'essere sociale festeggia e gozzoviglia trivialmente, incurante della proprietà privata, durante l'orario di lavoro, scherza e ride compiaciuto della sofferenza altrui, è completamente anestetizzato.

La principale forma di relazione è il sesso ("Ho tanta voglia di quello che hai nei pantaloni). L'essere asociale invece vive complesse ma fallimentari storie d'amore: quella fra Joel e Clementine è un bella storia, ma è gelida, adulta, nevrotica. La stagione in cui si svolge è l'inverno, in qualche scena notiamo tinte autunnali. La fotografia propende per colori freddi (domina il blu, colore dello spleen), gli interni non conferiscono una sensazione di calore. Che schifo di freddo su questa spiaggia. L'asetticità del tutto si attenua solamente nelle scene che riguardano la clinica e i suoi dipendenti.

19 Novembre 2003: a cena da Kang un'altra volta. "Siamo come quelle povere coppie per cui si prova compassione nei ristoranti, siamo morti che mangiano. Io non riesco sopportare l'idea che pensino questo di noi."

Dopo la cancellazione l'esistenza dei due protagonisti non sembra essere migliorata, anzi è peggiorata. Gondry pare suggerire l'idea che l'uomo tenda incessantemente alla felicità. Perché altrimenti Joel avrebbe preso quel treno per Montauk? E perché vi avrebbe trovato Clementine, spinta dal medesimo impulso? Noi sappiamo, nella surrealità del film, che ciò è dovuto ai residui della reminescenza della loro antica storia. Ma fuor di metafora, la cinica visione della vita e del mondo degli autori (raro è che una collaborazione fra due artisti riesca così concorde) lascia spazio alla positività. Ma non è una visione ingenua e banale, nonché romantica e sentimentale. Dietro al fatto che Joel e Clementine si siano ritrovati, agisce un'idea ben precisa, l'idea di fondo, il reale motivo per cui questo film non è affatto scontato.

"Non sono andato a lavoro oggi. Ho preso il treno per Montauk. Non so perché. Non sono un tipo impulsivo. Forse mi sono solo svegliato un po' depresso". Messo all'inizio del film e poi lasciato cadere fino alla ricomposizione a finale, quest'episodio è in realtà il nucleo centrale della storia. Certo l'elemento di surreale novità su cui s'impernia la sceneggiatura e su cui si basa essenzialmente il fascino dell'opera è la cancellazione, ma dopo svariate visioni ci si accorgerà che" Eternal Sunshine" può essere letto a diverse profondità, e questo, non di certo l'invenzione narrativa particolarmente fantasiosa, costituisce la grandezza di questo capolavoro. È proprio quando eccede in un manierismo di sorta che il film svela il fianco scoperto: la parte in cui Joel si rifugia nell'infanzia per esempio è macchinosa e fastidiosa, spinge eccessivamente sul pedale del surrealismo, e intacca (senza troppi danni, va detto) la purezza di una sceneggiatura perfetta.

È lo stesso vizio manieristico in cui incorre "La coscienza di Zeno", ad esempio nei tre sogni del protagonista (il padre, Basedow e Ada), fin troppo "psicanalitici". Cos'è Montauk per Joel? Uno spettro. Un luogo sottratto alla razionalità e al dominio della mente del protagonista, ma ancora estremamente vivo e attivo nella sua vita, nella sua anima.

"Ti voglio raccontare una storia di fantasmi, Chris. I fantasmi esistono".
Questo è un estratto de "Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" di Robert Maynard Pirsig. L'autore, un filosofo statunitense, subì un elettroshock negli anni Sessanta, con la conseguente cancellazione di buona parte della sua memoria. Ma il suo Io precedente agisce alla stregua di un fantasma, a cui l'autore diede il nome di Fedro (il titolo del dialogo platonico sull'Anima). Pirsig ripercorre, in un viaggio in moto, le tappe salienti della sua antica personalità, riconoscendo quei luoghi con procedimenti estranei alla legislazione della mente. Quei luoghi, quelle idee, quegli odori, quelle associazioni sono dentro di lui, anche se non sono dentro la sua mente. L'anima non è un'entità dimostrabile, ma se ne avverte costantemente la presenza.

Su Joel agisce lo stesso impulso. Il suo ragionamento non fa una piega: io non sono impulsivo. Quale forza agisce su di lui allora? Chi o che cosa non si è scordato di Clementine? L'idea di fondo è quella della presenza di una specie di intelligenza sentimentale. La vittoria dell'individuo sta nella vittoria di un sistema spirituale contro uno razionale: la cancellazione, benché accurata e totale, non tiene conto degli aspetti sentimentali di una storia d'amore. Il sentimento è qualcosa che non ha sede necessariamente razionale. Il corpo ha la stessa preminenza, è co-protagonista della mente nella razionalizzazione dell'esperienza amorosa. Il regista tiene conto della possibilità che l'importanza di una persona possa incarnarsi al di là della giurisdizione razionale operata dalla mente. La mente controlla, ma le sfugge tantissimo. La lanterna della razionalità non illumina il reale più del dovuto necessario, scrive Dürrenmatt ne "La promessa". L'amore donato è un'esperienza così profonda da coinvolgere l'intero spettro del sensibile, al punto di conferire al corpo un aspetto quasi spirituale: l'anima è la stessa cosa del corpo, osservava Andrè Gorz riferendosi alla sua celebre storia d'amore con Dorine. L'amore è un'esperienza celebrale, ma non solo. Presenta aspetti non matematizzabili, presenta dinamiche ineffabili, inesprimibili. La lirica d'apertura de "L'Allegria" di Ungaretti è ai fini del discorso molto interessante: "Tra un fiore colto e l'altro donato
L'inesprimibile nulla
"
Il fiore, metafora dell'Amore, rappresenta la Bellezza di ogni esperienza gratuita. Il cogliere e il donare sono aspetti lontani da un'etica economico-matematica, quale quella in cui è gettato Joel. E tutto il discorso si inserisce perfettamente nelle logiche romantico- sentimentali del cinema di Gondry. Il regista e lo sceneggiatore dimostrano come sia possibile rivivere un amore autentico, senza doverlo necessariamente ricordare. Poiché l'amore non è solo un'esperienza mentale, ma è occhi con cui guardare diversamente il mondo, è un odore che riconosceresti anche dopo anni, è una frase per cui abbiamo dato senso alla vita. Le frasi di una persona amata sono formule magiche, arcane, impresse nelle viscere.

A tal proposito è illuminante la lettura di un saggio critico di Roland Barthes, acclamato linguista francese del Novecento, "Frammenti di un discorso amoroso", che propone un'analisi strutturale dei gesti e del linguaggio degli innamorati: l'autore ha brillantemente sottolineato come anche una frase banale, detta dall'innamorato alla persona amata, diventi parte e sia esperienza evocatrice di un intero Immaginario, di un Vissuto che è scolpito sia nella mente, che nel corpo, che nel cuore. Della frase dell'amato, anche la più ordinaria, riconosciamo la cadenza, il timbro, l'armonia, la melodia, ne memorizziamo senza l'ausilio della visione le tonalità della dolcezza e della tenerezza, grazie alle quali ci siamo sentiti scaldati e meno soli. È quello che succede quando un bambino appena nato si quieta solo a sentire il battito del cuore della mamma: non c'è nessuna razionalizzazione, c'è al contrario un'esperienza ancestrale, prima: l'Amore. L'amore è la prima esperienza umana, e ci angosciamo, lottiamo, soffriamo tutta la vita affinché sia l'ultima.

"Perché mi innamoro di qualsiasi donna che mostri un minimo accenno di interesse per me? Forse dovrei tornare con Naomi. Lei era carina. Era bello come fosse carina... lei mi amava.

Non è Naomi che amava Joel, ma Clementine. Ma Joel non ne ricorda il nome, le sembianze. Infatti utilizza l'aggettivo "carina", con cui pochi minuti dopo definisce la Clementine appena incontrata, e con cui l'aveva definita nella storia dimenticata. Non si ricorda di lei, ma sa, sente di essere stato amato davvero e ne ricerca la fonte, vi si protende, ne agogna il ricongiungimento. Joel infatti sa subito come prendere Clementine (per adesso mi piace che tu sia carino) nonostante sia la persona più impacciata dell'universo. E il contraltare negativo è sicuramente Patrick, che falsifica un'esperienza traumatica violentando il delicato equilibrio psicologico di Clementine (si vedano le scene in macchina). Entrambi sanno come farla felice, come colpirla, tuttavia la reazione nei confronti di Patrick è imbarazzata e stupita, poi sconvolta e infastidita. Nei confronti del nuovo Joel è spontanea.

Questi sono alcuni esempi di quanto sia profonda e autentica l'opera cinematografica di Gondry e Kaufman. Se ritorniamo allora alla domanda iniziale, su chi avesse ragione tra Pope e Montaigne, ci rendiamo conto di navigare nel buio. La banale tesi "non bisogna dimenticare" è ben più complessa di quanto avevamo creduto, nei momenti iniziali del film. Più che rispondere, i due artisti sembrano aver riconosciuto che non è solo la memoria, il cervello la sede in cui registriamo i nostri vissuti. La coscienza di esistere, di essere esistiti, e di esistere in futuro è presente in ogni cellula, in ogni fibra, e non ci lascia mai, come la nostra ombra.

Il risultato è artisticamente mirabile. "Eternal sunshine of the spotless mind" è una perla rara, un film che di pari splendore ne nasce uno ogni dieci anni. L'analisi che ne è stata data non prescinde dalla poesia con cui il film è stato creato, non ne intacca la vena intimista e malinconica, anche se stranamente pervasa di speranza. "Joel! E se tu rimanessi questa volta? Se ne sono andati via tutti. Non c'è più nessun ricordo. Almeno torna indietro e inventati un addio. Facciamo finta che ci sia stato. Addio Joel. Ti amo. Ci vediamo a Montauk. Era... una ragazza."

Dissolvenza.

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Recensione a cura di Terry Malloy - aggiornata al 04/10/2011 15.41.00

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