Recensione le quattro giornate di napoli regia di Nanni Loy Italia 1962
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Recensione le quattro giornate di napoli (1962)

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locandina del film LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI

Immagine tratta dal film LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI

Immagine tratta dal film LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI

Immagine tratta dal film LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI

Immagine tratta dal film LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI
 

Nel 1962 e dintorni, a quasi vent'anni dalla conclusione dalla seconda guerra mondiale, complice anche l'apertura a sinistra nel governo, il cinema riaffronta il tema bellico con un occhio al dramma del post-armistizio e alle sofferenze patite dalla popolazione.
In quest'ottica vanno inseriti "L'oro di Roma" di Carlo Lizzani, "Tutti a casa" con Alberto Sordi (che però è del 1960) e appunto "Le quattro giornate di Napoli" ispirato ad un episodio della nostra resistenza, oggi quasi caduto nell'oblio, e cioè all'insurrezione contro i tedeschi da parte della popolazione napoletana durata quattro giorni tra il 28 settembre e il primo ottobre 1943.

Il film, in uno splendido bianco e nero, è magistralmente diretto da Nanni Loy, non ancora assurto alla fama con le sue candid camera mostrate nell'ancora giovane RAI nella trasmissione "Specchio segreto".
La tematica complessa e la scarsa facilità di reperimento delle fonti rischiavano di compromettere la buona riuscita del film che correva così il rischio di trasformarsi in un bozzetto di costume trasudante retorica, ma Loy riesce a trarsi d'impaccio e a costruire dei quadretti concatenati tra loro, aiutato anche dall'alta recitazione dei protagonisti.

Spiccano tra i tanti protagonisti l'allora giovane Jean Sorel, nel ruolo di un marinaio ucciso da un tedesco per rappresaglia, George Wilson (magistralmente doppiato da Arnoldo Foà), il direttore del riformatorio, Aldo Giuffrè, (un marinaio che muore combattendo sognando di rivedere il figlioletto appena nato) Enzo Turco, più volte spalla di Totò e qui in un ruolo insolitamente drammatico (il gerarca pagliaccio tragico fatto prigioniero dai nazisti) e Regina Bianchi, all'epoca nella compagnia di Eduardo De Filippo per il quale aveva interpretato Filumena Marturano, che qui interpreta, senza retorica alcuna, il ruolo della madre dolente del piccolo Gennaro Capuozzo, medaglia d'oro alla memoria.

I tanti interpreti che, a guisa di cameo, hanno voluto partecipare al film dimostrano come all'epoca fosse ancor viva la memoria della sofferenza della città.
Mai il regista chiama per nome i protagonisti della storia così Antonio Tarsia Incuria (Franco Sportelli) docente liceale capo dell'insurrezione nel quartiere Vomero è semplicemente "'o professore" e l'ufficiale che si unisce alla rivolta (Gian Maria Volontè) è detto "'o capitano".
Si coglie nella pellicola lo spirito del popolo napoletano: oscillante continuamente tra dramma e commedia ed è per questo infatti che molti attori noti all'epoca per pellicole leggere sanno ben rendere anche nell'assoluta drammaticità e concitatezza delle situazioni, e altrettanto bene sanno inserirsi nelle infinite trame che tessono il canovaccio della vicenda.

Ambientato interamente in esterni in una Napoli dalle ampie strade deserte, con la viva partecipazione da parte della popolazione, il film è accompagnato da una intensa e martellante colonna sonora la "Tarantella tragica" scritta dal maestro Carlo Rustichelli.
Il rigore seguito nella ricostruzione della storia e il pathos espresso dagli interpreti fanno ancora oggi della pellicola un valido esempio del genere epico-avventuroso e la sua visione è altamente consigliabile a tutti.

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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 10/11/2005

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