Recensione l: change the world regia di Hideo Nakata Giappone 2008
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Recensione l: change the world (2008)

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locandina del film L: CHANGE THE WORLD

Immagine tratta dal film L: CHANGE THE WORLD

Immagine tratta dal film L: CHANGE THE WORLD

Immagine tratta dal film L: CHANGE THE WORLD

Immagine tratta dal film L: CHANGE THE WORLD

Immagine tratta dal film L: CHANGE THE WORLD
 

"L: Change the World" è uno spin-off che tratta degli ultimi giorni di vita del popolare personaggio del manga "Death Note", da cui sono stati tratti due film e una serie anime di trentasette episodi.
L è un detective sui generis che contribuisce a risolvere l'enigma della morte apparentemente naturale di una gran quantità di assassini e delinquenti riconosciuti colpevoli. In questo nuovo episodio egli si occupa di alcuni terroristi che cercano di diffondere un'arma batteriologia per cui non esiste antidoto.

Diciamolo subito: chi si aspettava un seguito all'altezza dei due precedenti film rimarrà assai deluso.
Sia pure con qualche difficoltà, i film "Death Note" e "Death Note: The Last Name" erano comunque delle opere coerenti e ben riuscite. L'unico problema poteva forse essere ascritto alla durata, che risultava appesantita da un ritmo di narrazione abbastanza lento, stile anime, del resto.
In ogni caso erano film con un'anima ben delienata e caratterizzati culturalmente in maniera molto definita. Gli Shinugami o anche lo stesso L erano personaggi molto intriganti, al punto tale da far risultare, per contrasto, insipido proprio il protagonista Light Yagami, che per primo trovava il Death Note e si metteva a far pulizia di cattivi, come ogni eroe buono sogna di fare.

Le caratteristiche del quaderno, e presto anche quelle dei demoni che lo possedevano, fecero in fretta ad impossessarsi della fantasia dei fan anche occidentali, i quali corsero a comprare il manga per avere maggiori ragguagli. L'intera storia si dipana nell'arco dei due film citati e si compie con tutti i colpi di scena possibili, in una cultura che per definizione non riconosce una dimensione unica al bene o al male. L'eroe che si erge a paladino degli oppressi perderà il controllo della sua missione e scatenerà conseguenze piuttosto apocalittiche. Mentre i demoni che ci si immagina cattivissimi, si scopriranno, come da tradizione asiatica, neutrali e pure un pò umani.
L in questa storia è l'antagonista di Light e conserva un fascino dato dalle peculiarità del personaggio e dal fatto che appare assai poco durante tutti e due i film. Tutto questo fino alla realizzazione di un sequel inutile.

Il punto debole di questo spin-off però non è l'eccessiva presenza in scena di L, che comunque perde di colpo consistenza e diviene quasi caricatura del personaggio iniziale, ma l'assoluta stupidità della trama. In un tentativo di rendere fruibile al pubblico non asiatico un prodotto che interessava proprio per le caratteristiche culturali inusuali, si è ritenuto di dover ridurre il tutto all'ennesima storia di terroristi che voglio distruggere il mondo con le armi batteriologiche. Come se non ce ne fossero già abbastanza di film del genere. Le peculiarità che avevano risvegliato l'interesse del pubblico, anche occidentale, sono qui di colpo azzerate e ci troviamo catapultati in un telefilm americano di bassa levatura. Non se ne può proprio più di scienziati pazzi che costruiscono virus in laboratorio per distruggere il mondo: insomma anche se con la scusante di volerlo metter su meglio, non è certo una motivazione originale. È dalla guerra fredda in poi che gli scienziati dei film americani non fanno altro. L è qui ridotto ad un agente dei buoni che insegue i cattivi per tutta la durata del film, e fa cose che neanche Tom Cruise in "Mission Impossible".

Unica piccola strizzata d'occhio al vecchio personaggio è nella serie di telefonate che L fa in giro per il mondo, comunicando la soluzione dei loro casi irrisolti all'altra parte del globo. È in questo passaggio che si avverte tutto quello che manca a questo nuovo film.

Il motivo per cui i personaggi funzionavano e il pubblico li trovava intriganti era proprio nelle peculiarità della trama, che comunque era molto influenzata dall'iconografia e dalla mitologia giapponese, e in quel sottotesto di ambivalenza che affliggeva protagonisti mai lineari e sicuramente non dello spessore vacuo e trasparente di quelli americani.
Per meglio mettere a fuoco il nucleo del discorso si riporta una piccola scena, come esempio. C'è un agente asiatico dell'Fbi che, entrando in un mercato contromano esibisce il tesserino a mò di spiegazione, e un mercante lo agguanta dal finestrino urlandogli che lui è giapponese e che quindi la piantasse con queste fesserie. Ecco questo è il messaggio che si vorrebbe arrivasse a Nakata Hideo: è sicuramente ancora in tempo a tornare al cinema per cui è diventato famoso, basta smettere subito di copiare gli americani.

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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 21/05/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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