Recensione la bestia nel cuore regia di Cristina Comencini Italia 2005
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Recensione la bestia nel cuore (2005)

Voto Visitatori:   6,47 / 10 (92 voti)6,47Grafico
Migliore attrice non protagonista (Angela Finocchiaro)
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Migliore attrice non protagonista (Angela Finocchiaro)
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locandina del film LA BESTIA NEL CUORE

Immagine tratta dal film LA BESTIA NEL CUORE

Immagine tratta dal film LA BESTIA NEL CUORE

Immagine tratta dal film LA BESTIA NEL CUORE

Immagine tratta dal film LA BESTIA NEL CUORE

Immagine tratta dal film LA BESTIA NEL CUORE
 

La grande tragedia greca, col mito di Edipo, supporto concettuale della psicanalisi freudiana, ci dovrebbero portare a individuare nell'inconscio profondo le cause prime delle nostre nevrosi, psicosi o, più genericamente, delle nostre azioni. Invece, sembra banale dirlo, alla maggior parte degli individui manca la capacità autocritica di scoprire la genesi dei propri comportamenti, mancando oltretutto una educazione, familiare e scolastica, ad auscultarsi per giungere all'autoconoscenza. In molti casi, poi, ove si percepiscano confusamente barlumi dell'inconscio, si arriva a rimuoverli volutamente, per timore della verità e paura del cambiamento. Nei tempi andati, prima di Freud, i moti della nostra anima venivano studiati dai filosofi, o strumentalizzati dalle varie chiese, o affidati alla sfera della poesia, al di fuori di ogni razionalità. Nei versi dei poeti in primis, e comunque nell'arte in genere, emerge da sempre il magma sotterraneo dell'anima dell'autore, sovente a sua stessa insaputa.

Il riferimento ci sembra d'obbligo, esaminando il film di Cristina Comencini, la cui storia nasce per l'appunto da una mancata conoscenza del profondo, se non addirittura da un oblìo voluto, della protagonista (Giovanna Mezzogiorno). La giovane, bella, felicemente in coppia, benestante ed occupata, nasconde un tormento profondo che vuole rimuovere. Ma quando sente una nuova vita muoversi dentro di lei, le sorge una esigenza insopprimibile di chiarezza, una volontà catartica di "fare pulizia" di inconsce sozzure; in pratica di andare finalmente a fondo dei mali nascosti, prima di dare origine a una nuova vita. E, guarda caso, questo "lavacro psicologico" incomincia proprio riesaminando ad occhi aperti i rapporti coi genitori, direttamente sulla loro tomba. "Amore e morte", dunque, come pure "risorgerete sulle vostre ceneri", nell'ottica spietata ma imprescindibile del pensiero evoluzionistico. Il tutto però, visto nella chiave fatalistica della tragedia di Edipo: maledetto e piegato dalla sofferenza per colpe genetiche a lui ignote. Per vederci chiaro, la ragazza corre in America ad incontrare il fratello, scoprendolo vittima di lubriche attenzioni da parte del padre durante l'infanzia; e, peggio ancora, di averne subite lei stessa. Da cui gli incubi notturni per lei ricorrenti, sospinti dall'io profondo ma rimossi da quello cosciente. La presa di coscienza, per quanto dolorosa, porterà infine la giovane donna ad una più consapevole accettazione dell'esistenza e della maternità, anche in grazia dell'amore riconquistato del giovane padre.

Temi profondi, molto spessi, che ci riportano ad una atmosfera da Recherche, come pure al più cupo cinema di Bergman; ma che, proprio perchè tali, presupporrebbero una maggiore concentrazione ed approfondimento, anziché assommarsi forzatamente ad altre vicende più leggere, in parte fumettistiche, in parte romantiche e sdolcinate. Un po' come se la figlia del famoso regista volesse contendere al padre la palma della grandezza, dimostrandosi capace di unire il sacro al profano, il profondo alla superficie, l'elemento ponderoso a quello leggero, di cui lui era maestro indiscusso (nel linguaggio della psicologia si parlerebbe di "complesso di Brunilde").

Se l'intento era questo, non diremmo che la brava Cristina ci sia proprio riuscita; la compresenza di tanti temi diversi, di vicende e personaggi così eterogenei, distoglie l'attenzione dello spettatore dalla doverosa concentrazione, creando pure, nel montaggio e nel racconto, frequenti lungaggini e asincronie. Senza peraltro dimenticare i molti momenti di pura poesia, di capacità evocativa della memoria, e certi sprazzi di fotografia veramente suggestivi, Un'opera discontinua, dunque, con zone d'ombra, ma pure con tanti momenti di luce: tra questi, indubbiamente, la recitazione di tutti gli attori, mai l'uno inferiore all'altro. Un vero avvenimento, già solo per questo, nel panorama del cinema nazionale.

Un ripensamento, per concludere, con un certo rimpianto: c'era in ballo troppa materia nel film. Forse abbastanza per farne più d'uno. Non sempre un racconto può divenire opera omnia, come succedeva a Manzoni con I promessi Sposi.

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 22/09/2005

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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