Recensione cinema universale d'essai regia di Federico Micali Italia 2008
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Recensione cinema universale d'essai (2008)

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locandina del film CINEMA UNIVERSALE D'ESSAI

Immagine tratta dal film CINEMA UNIVERSALE D'ESSAI

Immagine tratta dal film CINEMA UNIVERSALE D'ESSAI

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Immagine tratta dal film CINEMA UNIVERSALE D'ESSAI

Immagine tratta dal film CINEMA UNIVERSALE D'ESSAI
 

C'era una volta... Un re, direte voi. No ragazzi, vi siete sbagliati.
C'era una volta un cinema a Firenze. Non un cinema qualsiasi, ma un cinema "speciale", un cinema che esprimeva l'anima e lo spirito della gente che lo frequentava e in cui sono passate intere generazioni di giovani lavoratori e studenti fiorentini, che ogni sera si ritrovavano in quel locale per preparare le manifestazioni del giorno dopo.

Quel cinema era situato nella via Pisana del popolare quartiere del Pignone, dal nome della piccola officina metalmeccanica; anche se forse è l'officina che ha preso il nome del quartiere, sorta nel posto dove un tempo attraccavano le barche coi "navicelli" che scendevano e risalivano l'Arno, trasportando le merci da Livorno a Firenze.
In quella piccola officina, padre Eugenio Barsanti e l'ingegner Felice Matteucci si fecero costruire il primo motore a scoppio e, più tardi, si ebbero primi scioperi sindacali, degenerati in sommossa, che scossero Firenze.
Questo prima di essere trasferita a Rifredi dove, evitando la chiusura, è diventata il "Nuovo Pignone", la più grande industria metalmeccanica di Firenze), quasi a ridosso della Porta San Frediano, il Cinema Universale è stato per tanti anni un laboratorio politico e culturale che, in un modo o nell'altro, ha inciso sulla vita di moltissimi fiorentini e un luogo in cui si è scritto un pezzo della storia di Firenze.
Per tanti anni il Cinema Universale ha rappresentatto il posto, a Firenze, dove il cinema si fondeva con la goliardia, e la goliardia con la politica, e la politica con il tifo e con la solidarietà popolare.

Il film che Federico Micali ha tratto dal libro di Matteo Poggi, dal titolo "Breve storia del Cinema Universale", è la storia documentata di un locale dove si sono succedute almeno tre generazioni di spettatori, ma è anche la storia documentata di come sono cambiati quegli spettatori, di come siamo cambiati tutti noi. E il mondo con noi.

Il docufilm racconta gli inizi del cinema, nato intorno agli anni '50, quando si susseguivano affollati spettacoli di avanspettacolo, canzoni e teatro, e non solo proiezioni di film.
Poi il salto negli anni '60, quando si andava a cinema per stare tutti insieme, non facendo caso alla scomodità di quelle seggioline di legno ma facendosi prendere dall'incanto delle immagini che passavano sullo schermo, quando le luci si spegnevano e cominciava lo spettacolo nello spettacolo.
La trama era sempre la stessa, ma ugualmente rubava l'anima ai ragazzi del Pignone e di S. Frediano, eredi di quei ragazzi che Pratolini aveva magnificato nei suoi romanzi.
La cosa bella del Cinema Universale "era che qualcosa succedeva, che ogni sera non era mai uguale all'altra", dice uno degli spettatori intervistati.

Certo che quello che succedeva nella bolgia di quel cinematografo è entrato di diritto a far parte delle leggende metropolitanee fiorentine: urla, berci, commenti a voce alta su quello che veniva proiettato, patteggiamenti per l'uno o per l'altro personaggio, oggetti lanciati verso lo schermo se si ravvisava un'ingiustizia perpetrata ai danni di uno dei protagonisti.
Si applaudiva o si fischiava, si insultava e si sfotteva, nascevano repentini amori che repentinamente morivano. Cose impensabili, oggi.
Si racconta di uno spettatore che una sera, durante la proiezione, liberò in volo alcuni piccioni nella sala, e di un'altro, forse un suo amico o forse lui stesso, che un'altra sera sguinzagliò per il locale alcune rane, trovate chissà dove, che cominciarono a saltellare tra gli spettatori, un po' divertiti e un po' terrorizzati, soprattutto le donne.
Oppure di quell'altro ragazzo che improvvisamente fece irruzione con una vespa (intesa come motoscooter), fece il giro della sala, prima di uscire e far perdere le sue tracce.
Ha fatto storia invece quella volta che, durante la proiezione di "Higlander", quando Christopher Lambert incontra su un ponte un personaggio, interpretato da un attore di colore e gli chiede, solenne: "dove sei stato?", nel silenzio della sala risuonò, con perfetto tempismo, la voce di uno spettatore che rispose: "A Follonica, e senza ombrellone".

Nel film parla anche la bigliettaia, che ricorda gli sfottò cui veniva fatta segno: "Com'è la bigliettaia?" - "Troia!", rispondevano in coro gli spettatori quando le luci si spegnevano, racconta lei. Ma una sera, stanca di queste prese in giro, lei entrò dentro e a voce alta disse loro: "Ma le vostre mamme stasera v'hanno lasciato tutti qui?", alludendo a chissà quale mestiere esercitato da quelle madri. E da allora smisero, ma solo per poco.

Poi arrivò il '68 e con il '68 arrivarono l'impegno e i dibattiti politici, gli applausi alle scene di contestazione del potere e gli spinelli, gli eskimo e le kefiah ideologizzati.
Si cantava l'Internazionale e si andava in delirio per Jim Hendrix che si esibiva sul palco di Woodstock.
E il ceto popolare del Pignone si mescolava con gli studenti politicamente impegnati, figli della cultura punk, che intonavano slogan per Sacco e Vanzetti e maturavano consapevolezze civili davanti alle cariche della polizia di "Fragole e sangue".

Intanto cambiavano anche i gusti cinematografici degli avventori della sala, non per niente il Cinema Universale diventa, un po' sfarzosamente, Cinema Universale d'essai; non più commedie e melodrammi all'italiana, non più spaghetti western, ma film di culto e d'autore, proiettati e riproiettati a richiesta del pubblico degli spettatori, che miracolosamente riuscivano a fare il tutto esaurito.
Film cone "If", di Anderson, o "Zabrinskie Point" di Antonioni, hanno saziato le coscienze politiche dei giovani degli anni '70. Così come altri si emozionavano per il "Berlinguer ti voglio bene" del Benigni prima maniera.
La gente comune che assisteva a "Soldato blu" o a "Fuga di mezzanotte", oppure a "Il laureato" o a "I Guerrieri della notte", o, ancora, a "Birdy", tanto per citare i più gettonati, un po' non capiva e un po' si adeguava, ricevendone incosciamente lezioni di vita e insegnamenti comportamentali, e stimolo per sogni e ambizioni di una vita sognata.

Infine, arrivarono il videoregistratore e le cassette VHS, insieme alla passione per il calcio o per i film erotici e, contemporaneamente al mancato ricambio generazionale degli spettatori, l'interesse verso il cinema scemò.
Nel 1989 crollò il "Muro di Berlino", che si trascinò dietro il bandone dell'Universale d'essai, che si abbassò per sempre.

Negli anni '90 il glorioso cinematografo verrà trasformato in una discoteca di tendenza, conservandone però il nome.
Durò qualche anno; era un locale avulso dalla realtà del quartiere, che niente aveva a che fare con la gente che ci viveva attorno.
Verrà chiuso anche quello, così come verranno chiusi, via via, tutte (o quasi tutte) le altre sale del centro storico, facendo cadere Firenze nella logica delle asettiche multisale.

Adesso è lì, malinconicamente chiuso, in attesa che qualcuno lo rilevi e lo trasformi in qualche centro commerciale o in un ristorante alla moda (se tutto va bene).

Questa pellicola è per tutti coloro che hanno nella memoria il "proprio" cinema Universale come luogo dell'anima, in cui sono cresciuti e maturati e hanno scoperto la magia che prende subito appena le luci si spengono e l'incanto delle immagini, che alimenta la fantasia collettiva, si fa palpabile.
Emozioni che sono "universali", proprio come quel cinema che ora non c'è più.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 15/04/2009

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