Recensione albania blues regia di Nico Cirasola Italia 2000
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Recensione albania blues (2000)

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locandina del film ALBANIA BLUES

Immagine tratta dal film ALBANIA BLUES

Immagine tratta dal film ALBANIA BLUES

Immagine tratta dal film ALBANIA BLUES
 

Albània e non Albanìa blues (riferimento alla pronuncia degli albanesi nella nostra lingua) è il terzo film di Nico Cirasola, (uscito nel marzo 2001 sugli schermi) attore e regista pugliese indipendente e quindi poco noto ai grossi circuiti.
Il problema dello sbarco albanese sulle coste pugliesi è stato già trattato dal regista nella sua seconda realizzazione filmica "Da do da" apparentemente gioco di parole, ma in realtà "Da qui lì" tradotto dal dialetto pugliese. La vena di Cirasola non è drammatica o patetista, il suo intento è quello di trattare un argomento, fare un film denuncia servendosi di un'arma tagliente: la satira.

Tra satira, ironia e un pizzico di sognante follia si snoda la vicenda di Fefé uno stravagante antennista che gira a bordo di un'auto d'epoca per dare la potenza della comunicazione a chi vive in campagna.
Sicuramente allegorica la professione di Fefè: l'essere antennista fa di lui un nesso fondamentale per la comunicazione, attraverso la sua opera si apre una finestra sul mondo ed è proprio dal mondo che l'uomo è attirato. Logorroico, accompagnato da un assistente silenzioso e apparentemente assonnato, Fefè conosce prevalentemente donne straniere in Puglia per lavoro ed è stridente il contrasto tra l'accento esotico e una locazione tanto nota (a chi è pugliese perlomeno).
I colori la fanno da padrone nel film, perché Puglia è anche colore: ecco, le camicie di Fefè, gli abiti delle donne, il bianco delle abitazioni, il verde e l'azzurro, il sole abbacinante. Sogno e realtà, tra atmosfere che anticipano e ricordano molta cinematografia di Kusturica e fanno spesso ricorso ad allegoria e simbolo, come ad esempio nel caso delle scarpe bicolore molto anni Cinquanta viste ai piedi di chi gli ha tolto la compagna.

Fefè, l'uomo che porta in casa la televisione, viene scambiato, da un gruppo di albanesi che si installano in casa sua, per uno che può portare al successo. La vicenda si perde un po' per strada, smarrita tra donne che usano sapientemente le loro arti femminee e uomini a metà tra la voglia di fare spettacolo (con l'immancabile sosia di Celentano) e la malìa della corruzione, tra una radio che parla di una guerra balcanica tanto lontana quanto vicina, dove tutto fa spettacolo, persino l'eroe di guerra e in cui una improbabile emittente locale che chiede, alla maniera della Carrà della sua striscia quotidiana di cinque lustri fa, non il numero dei fagioli ma quello dei poveri disperati a bordo della nave giunta nel porto di Bari dall'Albania.
Di certo il film di Cirasola non è una pellicola tradizionale con una storia dalla trama scorrevole e comprensibile dall'inizio alla fine. Fefè e i suoi compagni di viaggio sono da vedere con altri occhi, come allegoria, potente arma del regista per denunciare una situazione che non gli sta bene.

Anche se realizzato con una certa povertà di mezzi, il film è valido dal punto di vista tecnico, bravi gli interpreti, primo tra tutti lo stesso regista praticamente onnipresente nel corso delle scene e capace di bucare lo schermo per la sua simpatia, sin dalla prima apparizione.
Tra gli attori, oltre a dei cameo affidati a personaggi noti nella regione (quali Totò Onnis e Gianni Colaiemma, attori prevalentemente teatrali che hanno collaborato di sovente con Cirasola), c'è da segnalare nel ruolo di una giovane albanese anche Valentina Chico, per un po' di tempo all'apice della popolarità per la sua partecipazione alla fiction fiume della RAI "Incantesimo".

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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 14/09/2006

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