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o lo si ama o lo si odia

Pubblicato il 12/12/2012 08:36:15 da Pasionaria


Non può che suscitare reazioni viscerali contrastanti il cineasta che ha fatto della passione, soprattutto di quella per il cinema, il motore della sua vita.

Pedro Almodòvar è stato in gioventù un regista dallo spirito eclettico ed inquieto, capace di riflettere se stesso nei suoi film, in modo caotico, con scarsa disciplina, esprimendo una morale sua, affatto convenzionale. Crescendo, con lui è cresciuto anche il suo cinema e si è come raffinato, meglio affinato.

Lo stesso regista, negli anni ’90, ripeteva spesso di voler passare di moda e di voler diventare un classico.

Beh, indiscutibilmente sembra esserci riuscito, se si analizzano le sue creazioni dell’ultimo ventennio, a partire da quello che è stato considerato, non solo dalla critica, anche dal pubblico, l’apice della sua carriera, sto parlando del periodo produttivo di
Tutto su mia madre” e di “Parla con lei”. Entrambi le opere pluripremiate ai festival internazionali più autorevoli.

Chi si ricorda o chi ha seguito il giovane Pedro? Quel giovane scapestrato che, tra gli anni ’70 e ’80, ha fatto del gusto kitsch la propria peculiarità, l’elemento identificante, arricchendolo con lo humor gretto ma ricco d’immaginazione dell’underground madrileno? Questo, probabilmente, è l’Almodòvar meno popolare, più dileggiato per la gestualità irriverente, il sesso spudoratamente esibito, il rock, i colori eccentrici in un tutt’uno di pessimo gusto. Parlo del regista di “Pepi, Luci, Bom, e le altre ragazze del mucchio” o di “Labirinto di passioni” e “L'indiscreto fascino del peccato”, ancora di “Che ho fatto io per meritare questo?” ( capolavoro d’originalità) fino ad arrivare a “Matador” e “La legge del desiderio”. Probabilmente l’Almodòvar che ha provocato le critiche più controverse (a quanti stava sull’anima questo giovane regista - dissacratore dei valori più solidi della società filocattolica spagnola), ma anche il più autentico.



L’uscita, nel 1988, di “Donne sull'orlo di una crisi di nervi”, sua settima fatica, segna un radicale ampliamento della popolarità del regista castigliano, la sua opera sconfina al di là della Spagna e la critica internazionale incomincia ad occuparsi di lui. In "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" c'è ancora, tuttavia, quel gusto per l'assurdo e quel tocco ironico tipico dei primi film in super8, e anche la trama presenta analogie con i cortometraggi sperimentali.




Già con il bellissimo “Il fiore del mio segreto” s’intravede il passaggio alla maturità, o meglio ad una visione di sé, attraverso le sue opere, più misurata. Sembra spenta la vena libertaria della giovinezza, espressa tramite ogni possibile eccesso iconico, senza alcuna mediazione. Non sono offuscate, però, le note dissacratorie del suo pensiero, che per fortuna permangono quasi a sugellare la propria unicità.

Con la maturità e la responsabilità, derivante dal riconoscimento a livello mondiale, il nostro Pedro acquisisce una più marcata sensibilità e diventa regista adulto, stilisticamente inimitabile: riesce a dosare la propria passionalità, raffina le scelte tecniche e fa centro, come dicevo prima, con i due film che maggiormente lo rendono popolare e lo elevano al gotha della cinematografia mondiale. Beh, è ovvio che la libertà acquisita dalla riconosciuta consacrazione gli offre il varo per progetti più personali come il bellissimo “Volver”, un giro vorticoso nell’infanzia della Mancha, la sensibilità come omaggio nei confronti dell’universo femminile. Il momento in cui il regista riceve più ammirazione, dal pubblico soprattutto, che conquista universalmente.



Con gli “Gli abbracci spezzati” e “La pelle che abito”, le due ultime sue opere, il suo cinema si è fatto ancora più serioso ed autoriale, rispetto alle grottesche commedie dei primi anni, commedie che molti suoi fan iniziano a rimpiangere. Eppure l’osservazione attenta delle ultime sue opere rende evidente quanto sia cresciuto Almodòvar, di quanto si sia raffinato, attraverso le immagini curate nei dettagli con maniacale perizia, dona loro significato e forza espressiva, oggi più di ieri.

Ma, come ad ogni cosa, la maturità gli ha "tolto" la freschezza e la follia; I lavori della maturità sono stati senz’altro più apprezzati forse perché, pur trattando tematiche scottanti e delicate, la sfacciataggine dei primi racconti lascia spazio ad una narrazione più pacata e coinvolgente: lo spettatore ha tempo di riflettere, di godere del personale citazionismo, di cui le opere almodòvariane sono sempre più impregnate.
Chi ha avuto modo di apprezzare l’ultima fase di Almodóvar stenterà a credere che sia lo stesso regista della sua prima fase underground, creatore di un universo coloratissimo e kitsch, pervaso dalla sua grande vena di follia. Chi, al contrario, segue Pedro dall’inizio, percepirà l’assenza di tutto ciò, non riconoscendolo più nel suo raffinato distacco dalle storie, più freddo e analitico nell’esprimere la psicologia dei suoi nuovi personaggi, privi della potenza dei primi.



Probabilmente se n’è accorto anche il regista, dopo “Los abrazos rotos” e "La piel que habito" , pare che nel suo nuovo film abbandoni temporaneamente il melodramma, per tornare alla commedia ambientata a Madrid e ricca di dialoghi paradossali e brillanti come agli esordi.
Noi fedeli fan ci speriamo e lo attendiamo al prossimo festival di Cannes.

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