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Tutti i post per la categoria: Generi drammatico

Il tempo di un respiro - corto

Pubblicato il 04/02/2015 11:01:33 da Giordano Biagio
Il tempo di un respiro

Regia: Annamaria Lorusso, Emilio Perrone
Cast: Annamaria Lorusso, Diana Bologna, Emilio Perrone, Danilo Uncino, Luna Cacciatori e con la partecipazione straordinaria di Roberto D'Antona
Genere: Horror, Drammatico
Durata: 21 minuti


Il Tempo di un Respiro come Ombre nella Memoria, è selezionato ufficialmente al Rome Web Awards 2015.
Film visibile su You Tube


Premessa storica. Nel '700 la morte di un bambino era ancora frequente e suscitava, nelle varie comunità di appartenenza, commozioni e stupori intensi, nonché, nei genitori colpiti, un dolore straziante e annichilente che rimaneva acceso per lungo tempo. La cultura religiosa dell'epoca non poteva quindi rimanere indifferente ad eventi umanamente così sconvolgenti.

Le istituzioni ecclesiastiche cattoliche intervenivano rielaborando ciò che per inerzia della tradizione era rimasto troppo ancorato a una vetusta interpretazione biblica: quella che faceva credere che i bambini morti non battezzati finivano nel limbo, un luogo di anime non peccatrici, privo di pene, ma a cui era precluso il Paradiso salvo un diverso proposito di Dio che non era dato conoscere.

In diversi e numerosi luoghi egemonizzati da una tradizione istituzionale ecclesiastica di tipo integralista-sub culturale, a queste creature morte precocemente non era consentita neanche la normale sepoltura in posti benedetti, ossia legati a una forma di consacrazione con Cristo; essi venivano sepolti nei luoghi più lontani dalle abitazioni, anche lungo i fiumi, fra le montagne, e il loro spirito, secondo numerose leggende religiose di origini sincretiche impregnate di pregiudizi, non trovava pace, l'anima era desiderosa di vendicare le gravi discriminazioni subite: tra le quali la perdita di sacralità della loro purezza. L'anima perciò vagava in cerca dei viventi per spaventarli e opprimerli destando loro atroci sensi di colpa.

Il desiderio di alcune istituzioni ecclesiastiche di dare ai genitori dei figli morti la soddisfazione della certezza della salvezza dell'anima del loro bambino, è all'origine del rito e dei santuari del "ritorno alla vita", che alcuni studiosi teologi francesi hanno chiamato à répit, del respiro, e altri della "doppia morte" o della "morte sospesa".

I santuari del "ritorno alla vita" sono, seppur in modo sporadico, presenti anche in Italia, diversi si trovano nelle Alpi occidentali, sono dedicati alla Madonna e ad alcuni santi. Davanti alla santa immagine che caratterizzava il luogo, si posava - con una compassionevole speranza - il piccolo defunto e con le preghiere si supplicavano i santi benefattori perché intercedessero con Dio per avere un "miracolo d'amore". Quest'ultimo doveva essere evidente, come il ritorno alla vita del bambino, una resurrezione per il tempo di un respiro, di un breve istante di luce terrena, sufficiente per eseguire il battesimo e consentire poi all'anima del bimbo di entrare, senza più dubbi per i genitori, in Paradiso.
Trama del film. Il tempo di un respiro è un film corto, horror-drammatico con coinvolgenti pieghe esistenzialistiche, diretto da Annamaria Lorusso ed Emilio Perrone. Interpretato da Annamaria Lorusso, Diana Bologna, Emilio Perrone, Danilo Uncino, Luna Cacciatori e con la partecipazione straordinaria di Roberto D'Antona.
Il corto è uscito nel settembre 2014 ed è visibile on line su You Tube.
Il soggetto è ispirato a una storia realmente accaduta preso una chiesa a Soriso nel novarese, luogo in cui è ambientato il film, e narra le vicende di Claudia, una madre addolorata per la prematura morte del figlio, che si reca presso la chiesa sede delle apparizioni nella speranza che il miracolo del "Repit" si ripeta; nel 1767 in quella antica chiesa si sono verificati diversi eventi soprannaturali; le anime dei bambini venivano richiamate alla vita per essere battezzate e poter quindi godere di un al di là migliore.
Disposta a tutto, la protagonista giunge sul posto e conosce Marco e Luna, ma qualcosa di pauroso si aggira per i boschi. I protagonisti sono completamente immersi nella selva oscura. Voci e strane visioni iniziano a tormentarli sino a farli sprofondare nell'abisso di un mondo pauroso dove non hanno alcun potere di difesa.
Note su Annamaria Lorusso. Da diversi anni la regista autore e attrice, ha cominciato a dedicarsi al cinema indipendente sia come interprete che come produttrice. Per citare alcuni dei lavori: "Insane", "Bolle di Sapone", "Lezioni di Yoga", "Butterfly effects", "Nightmare Inquirers" di cui è anche il produttore esecutivo, "Inside" e naturalmente "Il Tempo di un Respiro" di cui cura la regia insieme al dotato Emilio Perrone anche lui attore nel film, e di cui è protagonista, sceneggiatrice e produttrice.

L'idea del corto, come e perché è nata. Un giorno conversando con un caro amico dell'idea di un corto un po' particolare, che avesse dell'horror ma che fosse legato ad una situazione reale, egli gli narra di una chiesa legata ad alcuni eventi davvero commoventi. Dopo aver girato una scena per un suo corto, l'amico porta direttamente Annamaria sul posto dove accaddero i fatti, a Soriso, e la donna rimane come folgorata da un pensiero visione, qualcosa riguardante un'improvvisa ispirazione artistica. La sua mente intuisce improvvisamente che quella che poteva sembrava solo una vaga idea aveva trovato, presentandosi sul posto consacrato, una illuminante spinta alla realizzazione.
In quella chiesa erano avvenuti veri e propri pellegrinaggi per poter portare i bambini defunti e falli rinascere il tempo necessario per battezzarli. E così è nato "Il Tempo di un respiro".
Tra i programmi futuri di Annamaria, rilasciati in alcune interviste, c'è la realizzazione di un lungometraggio la cui sceneggiatura è in fase di stesura. Annamaria in diverse conversazioni auspica vivamente che il cinema italiano risorga sottolineando come ci siano talenti in Italia che la gente nemmeno sospetta. Secondo il suo punto di vista il cinema italiano adesso è limitato e regala poche sfumature di sé, ma se si uniscono le forze e si creano le giuste alleanze molte cose potrebbero essere cambiate.
Il tempo di un respiro è un film corto riuscito, indubbiamente di pregio soprattutto per l'effetto emozione procurato da una trama che rispetta a grandi linee le regole aristoteliche classiche della tragedia, suscitando pietà e terrore, considerati ottimi parametri per misurare l'intensità delle emozioni, due sostantivi che sono al centro della teoria della poetica del racconto (mythos) in Aristotele.
Il film brilla in virtù di diverse soluzioni adottate alla forma del racconto. Innanzi tutto un modo di raccontare credibile, sempre ben connesso con il reale, quello più normalmente percepibile nel quotidiano. Inoltre il film coinvolge straordinariamente sul piano emotivo grazie a un finale che va contro ogni attesa costruita in precedenza, non lasciandosi travolgere da un eccesso di fantasia ma rimanendo ben saldo ad una realtà intrecciata con l'immaginario senza precisi confini. Sogno, attività onirica diurna, delirio da dolore, allucinazioni da rievocazioni inconsce segnate dalla disperazione, fondono il crudo e freddo reale dell'esistenza dandogli forme espressive sempre diverse e impregnate di senso.
Un po' a sorpresa per la nostra epoca cinematografica il film suscita quindi quel phobos (terrore) ed eleos (pietà) nello spettatore, che sono sempre più rari nel cinema postmoderno. Il presente cinematografico incarnato dai suoi protagonisti ideatori di opere filmiche, appare per lo più affetto da una diffusa e sterile arroganza, essa la si trova soprattutto nell'attuato forte rinnovamento di molti codici espressivi e forme di intreccio delle trame cinematografiche, avvenuto ignorando spesso il mondo culturale classico, vera fonte quest'ultimo di idee di qualità tese a procurare nello spettatore: piacere e commozione, godimento e pianto, paura e sgomento, lungo una rappresentazione della condizione umana riconoscibile come vera, possibile, o testimoniata da esperienze altrui ascoltate.
Annamaria Lorusso ed Emilio Perrone con questa bella opera indipendente hanno reso evidente, per contrasto, come il cinema postmoderno di questi ultimi due decenni, non solo italiano, sia sempre più confuso nelle idee, in bilico tra spettacolo e cultura, arte e contenuti, incassi e qualità del messaggio. Gli autori di oggi commettono il grave errore di trascurare studi fondamentali sulle grandi regole classiche del racconto teatrale e cinematografico che vanno a grandi linee da Aristotele a Hitchcock, Kubrick, Orson Welles.

Film corto, Ore cutanee di Duilio Scalici

Pubblicato il 22/10/2014 11:48:48 da Giordano Biagio
Ore cutanee
Regia di Duilio Scalici
Cortometraggio drammatico
Duilio Scalici è nato il 1994 a Palermo. Ha realizzato diversi videoclip musicali per artisti italiani quali: Bologna Violenta, Jessica Brando, Simona Gretchen, The Barbacans ed altri. Fra questi, il video del brano "Time For The Choice" dei The Barbacans, arriva fra i finalisti del Premio Italiano Videoclip Indipendente 2010, accanto ai video di Max Gazzè e Il Teatro Degli Orrori.



Nel 2010 fonda l'etichetta indipendente Sinusite Records, che nel settembre del 2014 diventerà "Sinusite Associazione Culturale".
Nell'aprile del 2014, realizza il suo primo cortometraggio "Ore Cutanee" selezionato all'Etnaci Film Festival 2014, che immediatamente diventa virale sul web e viene proiettato in diversi cinema d'Italia. Nel giugno dello stesso anno, assieme ad altri videomaker, realizza il docu-film "Cuervoluciòn", per conto della famosa tequila "Jose Cuervo", che verrà trasmesso a fine anno su MTV Italia.

Sta attualmente lavorando come aiuto-regista al film "Erba Celeste" di Valentina Gebbia e sta realizzando il suo secondo cortometraggio dal titolo "La Colpa".
Attori: Paola Raeli e Clara Tramontano
Produzione, fotografia, sceneggiatura, montaggio di Duilio Scalici

Commento critico di Biagio Giordano

Il ventenne regista Duilio Scalici, esordisce nel cinema con il cortometraggio Ore Cutanee, un'opera elegante con un'andatura in stile cortese che via via diventa sempre più colorita di una passione senza confini.
Il film, che appartiene a un genere dai termini sfumati, collocabile tra il poetico e il drammatico, è stato selezionato dal Etnaci Film Festival 2014. La pellicola sta avendo un buon interesse anche nel web ed è proiettata in diverse sale cinematografiche italiane.
Il giovane Duilio Scalici sta da tempo sviluppando alcune idee letterarie per il cinema, che con questo film appaiono subito di un certo spessore elaborativo, sia contenutistico che formale. Durante la proiezione non si può fare a meno di essere attraversati da intense emozioni, le cui forme sono tra le più diverse, esse vanno dall'empatico all'estetico per finire poi nel piacere intellettivo: quello per lo più legato al senso logico delle cose che nel film è efficacemente intuibile.
Gran parte delle emozioni rilasciate dal film sono frutto di una composizione scenica non certo da manuale, bensì costituita da codici visivi liberi, sempre rigorosi, animati da una verve creativa dell'autore che sembra saper far brillare ogni cosa.
Il film ha una intelaiatura visiva priva di smagliature, grazie un occhio fotografico di rilievo sempre ben in sintonia con il movimento tecnicamente sicuro della mano sulla telecamera e con un gusto letterario raffinato manifestato dall'autore con il suo pensiero narrativo in più occasioni.
Il progetto sul cinema di Duilio Scalici appare quindi, da questi primi indizi, felicemente idoneo a realizzare un cinema di qualità, composto da inflessioni artistiche ben caratterizzate, lontano dall'intrattenimento. E' un pensiero quello espresso con questo film che sa di prezioso, qualcosa che sembra trovare alimento da una percezione viva e attenta dell'autore sulla complessità con cui si muove il reale di oggi, un mondo difficile, a cui Duilio, tra le righe, sembra voler porre grande attenzione.
Questa sua prima opera è quindi già qualcosa che sembra poter inaugurare un fertile rapporto di comparazione artistica, critica, con quella parte della storia del cinema più vicina a forme letterarie dal forte richiamo estetico ed esistenziale.
Ore cutanee è una storia d'amore semplice ma profonda, rappresentata con garbo poetico, supportata da finezza ed eleganza nei modi di riprendere che lascia meravigliati per senso del bello e del romantico.
Da sottolineare anche la parte che ha la musica nel film, del tutto appropriata al tipo di narrazione, felicemente sincronizzata con i toni narrativi scelti per il film che hanno in sequenze alternate, un po' paradossalmente ma artisticamente efficace, elementi romantici e neorealistici. La musica è sempre puntuale nel rafforzare o stemperare i momenti emotivamente più salienti delle scene del film.
Per finire i dialoghi, essi sono sobri ma di buon spessore comunicativo in quanto si è lavorato molto sulla scelta delle parole, selezionando ciò che meglio poteva dire di una situazione con poche parole, eliminando quindi lungo la ricerca quelle proposizioni prolisse sostituibili con frasi brevi senza perdere i contenuti.
Il film ha anche aspetti pedagogici di rilievo, sembra abbattere ogni barriera pregiudiziale rispetto ad appartenenze sociali (il protagonista infatti è un badante), razziali, di classe per dare spazio alla passione pura, non viziata da odi ambivalenti, a un piacere dei sensi che può attivare forme di sentimento certe ma non ancora ben delineate, in forte relazione con l'inconscio, qualcosa in grado poi di trascendere, con poetica risolutezza, ogni condizionamento mortifero del più abbruttente reale di oggi.
Ore cutanee è un'opera filmica che esce dal claustrofobico tempo dall'orologio, per naufragare con dolcezza in una poesia priva dei contrattempi volgari che rilascia il tempo.
Con l'espandersi smisurato del sentire per incanto che anima i due protagonisti, il film vola verso l'incommensurabile delle cose, verso quell'abbagliante colore di assoluto che la passione rilascia nella vita togliendo di mezzo ciò che di fugace, meschino, e banale è presente nell'ordinarietà delle cose quotidiane.
Una passione che spinge nell'oblio tutto ciò che non la riguarda e che fa rotolare per qualche ora l'immagine della morte negli instancabili ingranaggi dell'orologio fermandolo.
Il filmato di Duilio Scalici è un autentico pezzo di opera d'arte, in quanto riesce a comunicare il pathos dell'amore, i forti sentimenti che si formano lungo il rapporto, le diverse forme pulsionali che lo animano, senza retorica ridondante. L'autore dipinge con talento un immagine dell'amore del tutto originale, di cui per certi aspetti, non da poco, se ne ignorava l'esistenza.
E' un amore quello di Ore cutanee egregiamente rappresentato anche in tutta la sua misteriosità, soprattutto attraverso la suggestione che rilascia la fotografia con i suoi giochi inediti di luce ed ombre quando la macchina da presa fa scorrere in primo piano, facendoli diventare surreali, alcuni particolari dei visi e degli arti.



Categorie: Generi corto, Generi drammatico, Cinema approfondimenti

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Gummo

Pubblicato il 21/10/2014 15:54:29 da BarbieXanax

Amo con tutto il cuore il mio film, spero che la mia recensione non vi deluda.
Buona visione

Categorie: Generi drammatico, Cinema approfondimenti

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Dallas buyers club

Pubblicato il 17/02/2014 14:25:24 da BarbieXanax

Dopo mesi di problemi sul mio canale Youtube, ora è tutto risolto e torno a parlarvi di un film candidato all'oscar.
C'è un film per il quale state già facendo il tifo?

Buona visione

Reason to believe, "Nebraska"

Pubblicato il 28/01/2014 18:32:59 da kowalsky
"STILL AT THE END OF THE VERY HARD DAY PEOPLE FIND SOME REASON TO BELIEVE"



Come un fantasma che evoca, nel titolo, un celebre disco di altri fantasmi. "Nebraska", l'album di Bruce Springsteen, uno degli album più lirici, struggenti e speculari della storia del rock, non "suona" mai nel nuovo film di Alexander Payne, ma è come se quelle canzoni, quelle storie lì cantate dal Boss in solitaria (dis)armonia con se stesso, filtrassero tutte o quasi nelle immagini del film.



Siamo nel 2013, ma potremmo benissimo ritrovare il Woody Guthrie di tanti decenni fa, i romanzi di Steinbeck e l'America della secessione, con la provincia cronica, come direbbe una band italiana, che segue il suo immutabile corso del tempo, cent'anni e non sentirli.
Lo stato del Nebraska, che in gergo significa "acqua calma", è un confine di circa due milioni di abitanti, e il Woody Guthrie di un tempo oggi si chiamerebbe Woody Grant. E ha il volto scavato e astratto di Bruce Dern, con la sua andatura dinoccolata, e quegli occhi che comunicano la propria ingenua "reason to believe", quando intraprende un lungo viaggio con il figlio alla ricerca di quell'effimero "tesoro" che tenta ostinatamente di ritirare. Ovviamente non esiste alcuna vincita milionaria, ma esistono uomini disposti ancora a "credere". Bruce Dern è l'equivalente italiano di un vecchio rimbambito, perché il film non è esportabile nel vuoto della memoria o della cultura, e molti spettatori faticheranno a intuire il senso anche "politico" della sua ricerca. L'anziano viandante, accompagnato dal figlio, ricorda per certi versi la Geraldine Page di In viaggio verso Bountiful, con quella forte dimensione terrena (legata ai ricordi e al suo antico habitat umano) che proprio perché illusoria e fine a se stessa appare incomprensibile, folle, geriatrica, se non addirittura demente.



Bruce Dern, come molti sanno, esordì nel cinema con Kazan, Hitchcock e Aldrich, e già inquietò le folle nei panni di un molesto marinaio nel film Marnie. Nella sua carriera è stato spesso equiparato a psicopatici killer e assassini di varia natura, grazie forse al suo aspetto brutale, a quella faccia tagliata con il rasoio, alla vaga schizofrenia del suo sguardo. Ma gli occhi di Woody Grant sembrano assenti, eppure comunicano la facoltà di non rispondere, quell'urgenza di "credere" per se stesso e per i suoi figli, come quei tanti vecchi che reclamano di essere ascoltati, ma sanno di non potersi esprimere, perché tanto è inutile, non verranno mai capìti. Anche per questa ragione la visione di "Nebraska" è caldamente consigliata, per vedere (o sentire) cosa possa esserci nelle aspettative di una persona anziana: forse solo (e non è poco) la paura di andarsene per sempre da questo mondo senza lasciare una minima traccia nelle persone che ama.
E' un cinema, questo di Payne, che parla dei Padri, come pionieri e fondatori di una Nazione - ma questo lo capiranno di più certi americani - come profeti illusi e disincantati di quel Sogno (Americano, ma potrebbe ampliarsi al mondo intero) che fa dell'esistenza una o più ragioni per credere, fino in fondo.



Nebraska è il nome di una nazione e di un celebre disco che, malgrado tutto, ha avuto più risonanza tra gli outsiders che non tra i fans di Springsteen. E' un road movie che precede ogni istante come se fossimo davanti al fotogramma di una singola canzone. Come quella che invita a rivedere i propri cari scomparsi per varie ragioni, "everything dies baby that's a fact but everything that dies someday comes back", ed è dove Woody, vecchio alcolizzato, ritorna, con il suo carico di speranze, ma non alla maniera di un giovane à la Johnny 99, che uccide un uomo perché ha l'occasione di riscattare solo così una situazione economica senza scampo. E' come il Lupo solitario del film di Sean Penn ispirato a "Highway Patrolman" sempre di Springsteen, che cerca il suo "oro", come i vecchi pionieri dei secoli scorsi, per riscattarsi come padre e come uomo.
Dovete provare a cercare in quegli occhi: vi diranno qualcosa.
Ma la fauna dei personaggi, quasi ricca delle proprie personali meschinità, è quel mondo di "mostri" partoriti, come suggeriva il Boss, dall'incompetenza e dalle bugie dei governi statunitensi. E' un mondo che richiama il cinema del primo Bogdanovich, o anche Hal Ashby e altri ancora. Quel miraggio terreno, forse, è l'unica Isola che non c'è in grado di sostenere la speranza e forse una bugia che vale più della stessa verità. Il mondo crea un'umanità che guarda passivamente le partite di football in televisione, che assiste al trionfo degli altri e, senza saperlo, alla propria frustazione quotidiana. Come in un film di Lynch ma senza oscure metafore, come la sagoma andante di questo settantenne/ottantenne alla ricerca autentica di un'illusione che lo possa confortare.
La ragione di credere di Woody Grant è la stessa di coloro che si aggrappano alla vita fino all'istante in cui sembra volare via. Per questo è un bagaglio enorme di emozioni celate, che la gente più non ascolta"

Categorie: Generi drammatico, Cinema approfondimenti

Commenti: 4, ultimo il 06/02/2014 alle 13.57.33 - Inserisci un commento

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