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Il trionfo del Male?

Pubblicato il 13/09/2012 10:38:06 da kowalsky


Nella rosa dei premi della 69esima Mostra del Cinema di Venezia non c'è spazio per i sentimenti. Se dovessimo far riferimento al film più apprezzato dalla critica nostrana, "Apres mai" di Olivier Assayas, gli studenti francesi del 1971 hanno già abbracciato la lotta armata. Nonostante un finale elegiaco che per alcuni versi ricorda quello dell'ultimo Malick, Venezia 2012 resterà nella memoria unicamente per la sofferta conversione di uno spietato giovane usuraio nella Corea contemporanea, per la religiosità profanante del film di Ulrich Seidl, per il contagio mentale dell'ambizioso film di Anderson. I nostri sogni si sono spezzati, e a vederli lì, confusi tra un amplesso e la scelta della violenza, il cerchio si chiude. Il mondo è uno spazio assoluto dove prevalgono però i monolitismi di uno sguardo che non può vedere "oltre". La barriera, come la ricerca di sé, prevale tutta nell'impotenza di una ragazzina che tenta inutilmente di attraversare una strana parola, libertà. È tutta in quella immagine di un coraggioso film italiano, "L'intervallo". Ma una via di fuga c'è sempre: il William Wilson di Poe e Il servo di Maughan, il Figlio Prodigo e il Padre Padrone figurato dal premio ex-aequo (Coppa Volpi) ai due attori e protagonisti di "The Master". Una sorta di transazione mefitica, paternità e prole non richiesta. La maternità indotta dell'ultimo Kim-Ki-Duk rispetto alla "fusione" maschile e coercitiva di Anderson. Non più Eva contro Eva tra passione e logos, né Caino contro Abele, resta solo il conflitto di un'individualità fragile, incostante, distruttiva.
La 69esima Mostra del Cinema di Venezia, così dimessa e - per fortuna? - così poco radical-chic, si è spenta nel segno di una dolorosa transizione.
La ricorderemo per il dolore interiore di un padre alla ricerca del (corpo) del figlio in "Küf" di Ali Aydin, per la Giostra Umana di vita e di morte di Bellocchio, per gli incesti e le vendette, gli Olocausti dadaisti e le vampire lesbo-chic, l'Italia nel suo Inferno privato (o del neorealismo spicciolo di De Matteo) o alla ricerca di un status-symbol che non c'è (Pietro Germi che rilegge Mark Twain nell'ultimo Ciprì).
Il Premio alla Carriera a Rosi, testimone di Oscuri Avvenimenti, e quello a Redford, ex-simbolo dell'eroe wasp colto guarda caso a rivendicare i diritti civili e le ingiustizie del sistema.
C'è ancora spazio per un giocattolone tridimensionale come "Bait 3-D", per le storie a incastro di "Disconnect" (ahimè neanche l'America si salva dal contesto televisivo) e per Micheal Jackson riletto da Spike Lee nel momento massimo della sua trasfigurazione.
Svaniscono pertanto i tanti interrogativi su cui Malick fonda il suo intero film: perché? E' davvero questo il trionfo del Male?

Categorie: Festival Venezia

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Considerazioni sui premi assegnati

Pubblicato il 12/09/2012 09:04:43 da The Gaunt
Qualche piccola considerazione sui premi principali della 69^ Mostra del cinema di Venezia:

Leone d'oro - Pieta di Kim Ki-Duk
Ovvero quando l'eccellenza c'è e si nota subito. Accade spesso quando il livello dei film in concorso è appena sufficiente e pellicole come quella del regista coreano riescono ad emergere dagli altri, creando anche il non facile compromesso di mettere d'accordo non solo la giuria, ma anche critica (un po' meno) e pubblico (decisamente di più).
Una storia avvolgente, emotivamente intensa e due attori straordinari che il Leone d'oro al miglior film ha probabilmente messo fuori gioco dalle Coppe Volpi.



Leone d'argento migliore regia - Paradies: Glaube di Ulrich Seidl
Un film provocatorio su una donna, tecnico radiologo, e la sua ossessione per la figura di Gesù Cristo, che ha certamente colpito la giuria, parte della critica ma lasciando generalmente freddo il pubblico. Solo un timido applauso di circostanza alla cerimonia di premiazione. Non ho visto questa pellicola, mi riprometterò di farlo, distribuzione permettendo.

Premio speciale della giuria - The Master di Paul Thomas Anderson
La nascita di una setta poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, il suo rapido sviluppo e il rapporto che si crea fra i due personaggi principali, sono perlomeno motivi di interesse per vedere il nuovo film di Anderson. Personalmente non lo ritengo il miglior film del regista americano, ma possiede comunque delle qualità innegabili che volendo, potranno essere apprezzate il prossimo 14 gennaio, data annunciata in conferenza stampa dell'uscita italiana.



Coppa Volpi maschile - Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix per The Master di Paul Thomas Anderson
Qui il presidente di giuria Micheal Mann si è un po' smentito, avendo sottolineato il fatto che la giuria non avrebbe dato premi ad ex-aequo. Ma difficile dare torto a questo tipo di scelta, l'interpretazione della coppia Hoffman-Phoenix fa veramente faville sulla pellicola di Anderson. Sono personaggi talmente complementari che rifiutare il premio ad uno dei due sarebbe stato un errore gravissimo ed un eccessivo demerito dell'uno nei confronti dell'altro. Un premio giusto che frustra anche le ambizioni italiane per Toni Servillo, ma di fronte a questa accoppiata c'era poco da fare. L'unico avversario potenzialmente valido era Michael Shannon di The Iceman, ma non era in concorso.

Coppa Volpi femminile: Hadas Yaron per Fill the Void di Rama Burshtein
Prendo atto di un premio per un film che non ho potuto visionare, ma fra gli addetti ai lavori è stata apprezzata l'interpretazione della Yaron, che ha battuto la concorrenza di Nora Aumor protagonista di Thy Womb e la Petri di Izmena.

Premio Mastroianni per il migliore attore esordiente - Fabrizio Falco per E' stato il figlio di Daniele Ciprì e La bella addormentata di Marco Bellocchio
E veniamo alle (poche) soddisfazioni per il cinema italiano. Fabrizio Falco è un volto interessante che ha dimostrato nelle due pellicole menzionate una certa poliedricità. Stralunato nell'affresco grottesco di Ciprì, quasi un riflesso del Lou Garrel de I pugni in tasca nell'ultima fatica di Bellocchio. Da apprezzare comunque perchè sebbene sia una presenza di contorno nella Bella Addormentata, lascia un segno ogni volta che è presente. E non è cosa da poco, specie per un attore giovane.

Migliore sceneggiatura - Apres Mays di Olivier Assayas
Il classico premio di consolazione per quello che, insieme a Bellocchio, è l'altro sconfitto di questo festival. L'affresco generazionale post-68 di Assayas non ha colpito particolarmente la giuria, forzata con ogni probabilità a dare un riconoscimento per una pellicola apprezzata invece dalla critica. Personalmente è un film impeccabile sotto molti punti di vista, forse un po' freddo e distaccato.

Migliore contributo tecnico: E' stato il figlio di Daniele Ciprì
Diciamo che questo è un premio in fondo cumulativo. Il contributo tecnico (leggasi fotografia) è stato assegnato per E'stato il figlio ma non bisogna dimenticare che lo stesso Ciprì ha curato la fotografia del film di Bellocchio con risultati eccellenti in entrambi i casi.



Premio De Laurentiis per la migliore opera prima - Kuf di Ali Aydin
Purtroppo è un altro film che non ho avuto l'opportunità di vedere. Interessante però la storia trattata, quella di un padre alla ricerca di un figlio, studente universitario, scomparso durante gli anni delle rivolte studentesche. Interessante anche perchè è un altro esempio di come il cinema turco guardi alla storia del suo passato recente già affrontato a livello simbolico (C'era una volta in Anatolia) e come affresco generazionale nell'ancora inedito Sonbahar. Come periodo preso in esame non mancano riferimenti proprio a quest'ultima pellicola.

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Leone d’oro alla carriera: Francesco Rosi

Pubblicato il 11/09/2012 09:40:04 da The Gaunt

Il Leone d'oro alla carriera consegnato dalle mani di Giuseppe Tornatore a Francesco Rosi è stato senza dubbio uno dei momenti migliori di questa 69esima edizione del Festival del cinema di Venezia.
Una scelta ineccepibile, motivata tra l'altro dalla dichiarazione del direttore della Biennale Barbera, il quale ha sottolineato giustamente che “Rosi ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema italiano del dopoguerra. La sua opera ha influenzato generazioni di cineasti in tutto il mondo per il metodo, lo stile, il rigore morale e la capacità di fare spettacolo su temi sociali di stringente attualità.”.
Uno di questi cineasti influenzati da Francesco Rosi, Martin Scorsese (non l'ultimo arrivato...) pur non essendo presente fisicamente alla Mostra, ha voluto fare un ringraziamento e un omaggio personale al maestro con una breve clip delle sue pellicole migliori, sottolineando l'importanza a livello formativo delle pellicole del regista napoletano.
Cercando di allargare il discorso, il premio a Rosi oltre al sacrosanto riconoscimento al cinema di denuncia ed impegno civile che ha caratterizzato le sue pellicole migliori, è il premio ad un'epoca in cui il cinema italiano era ai suoi massimi livelli, sia dal punto di vista degli autori (inutile fare un elenco, sarebbe lunghissimo), sia al fiorire di generi che lo caratterizzavano come una delle cinematografie mondiali migliori. Forse è eccessivo affermare che il cinema italiano di quell'epoca dettava legge a livello mondiale, ma possedeva quella solidità, oggi purtroppo persa, ed i segnali di ripresa non sono certo incoraggianti, se consideriamo il caso di Cinecittà con la protesta delle maestranze ai margini del red carpet durante l'inaugurazione della Mostra.
Un premio ad un regista che ha dato tanto al cinema italiano ed ha ricevuto molto. Basta pensare all'Orso d'oro a Berlino per Salvatore Giuliano, al Leone d'oro per Le mani sulla città e la Palma d'oro a Cannes per Il Caso Mattei, una “tripletta” che pochi cineasti al mondo possono vantare. Tuttavia questo deve essere anche uno stimolo per il nostro cinema attuale a ripercorrere una strada perduta da troppo tempo. L'Italia contemporanea ed i suoi problemi offrono una moltitudine di spunti che un regista come Rosi ed aggiungendo nomi illustri come Petri, Damiani, Lizzani, Vancini ecc. avrebbero saputo cogliere. Ci sono pellicole valide come Martone (Noi credevamo) o Vicari (Diaz) altre meno riuscite (Giordana, Romanzo di una strage), ma anche la netta sensazione di assistere a film estemporanei senza nulla di solido ed omogeneo che possa far pensare alla rinascita di un filone. L'Italia ha bisogno di questo cinema.
La riproposizione di un capolavoro come Il Caso Mattei recentemente restaurato dalla Cineteca di Bologna con la collaborazione della Film Foundation di Martin Scorsese, offre il fianco anche al rovescio della medaglia, ad amare considerazioni. Le nuove generazioni hanno la possibilità di apprezzare i film di Francesco Rosi? Purtroppo solo in parte. Il Caso Mattei, spiace ricordarlo, è tuttora inedito su Dvd e blue-ray nel nostro paese.
Eppure è un film che fa parte del nostro patrimonio cinematografico.
Persi nel limbo degli inediti o fuori catalogo ci sono pellicole come Le mani sulla città, Lucky Luciano, Cadaveri eccellenti.
Eppure anche questi sono patrimonio del cinema italiano e fra le migliori pellicole di Francesco Rosi.
Se il restauro del Caso Mattei rappresenta l'inizio di una diffusione maggiore del cinema rosiano ben venga, anche se con colpevole ritardo. In caso contrario si avrà la spiacevole sensazione a posteriori di aver assistito ad una presa in giro. Verso il pubblico, verso tutti coloro che vorrebbero avvicinarsi al cinema di Rosi e probabilmente verso Rosi stesso. E un monumento del genere non lo merita.

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